mercoledì 30 gennaio 2008

Quando la montagna chiama...

A volte non riesci proprio a farne a meno.. alcuni potrebbero pensare una similitudine con una droga, io la vedo più come una medicina.., la miglior medicina contro qualsiasi male, fisico o mentale che sia!

Io che l’Alben ce l’ho a due passi dall’uscio di casa, che l’ho fotografato non so quante migliaia di volte.., non mi basta mai! Resta sempre un punto di riferimento, la mia palestra naturale, La Montagna! Ultimamente me lo stanno un po’ deturpando, tra cantieri edili concessi senza il minimo scrupolo, piste su piste da fondo inutili e inutilizzate, tagli spropositati di alberi non giustificati completamente dalla giusta volontà di debellare il famigerato bostrico... comunque (altrimenti parto con critiche infinite, non è questo lo spazio!), lo devo vivere in ogni suo aspetto... e cosa meglio di una sera invernale con la luna piena?!? L’occasione si presenta martedì 22 gennaio... e che occasione! Le previsioni davano un peggioramento ed invece, nel pomeriggio, si alza un vento gagliardo che spazza il cielo, regalando prima un fantastico tramonto e preparando poi il giusto palcoscenico alla “star” (è un satellite, ma non siamo così pignoli...!) della serata. Alcuni amici che avevo contattato per l’evento mi hanno dato forfait all’ultimo, ma rimane il fido fratello Giorgio con il quale, appena rientrato dal mio lavoro alle 18, mi preparo alla “spedizione”.
Ore 18.30: usciamo di casa in un clima insolito per il mese di gennaio, il termometro segna addirittura 7 gradi, e ciò ci fa capire che il forte vento non è altro che il famoso Favonio, o Fohn che dir si voglia. Siamo quasi sicuri di trovare terreno facile, neve bagnata per le alte temperature, ed invece, appena ci troviamo ad avere a che fare con il manto bianco, ci accorgiamo che il vento ha giocato un brutto scherzo... un sottile ma insidioso strato di ghiaccio ricopre il sentiero, costringendoci a scegliere vie alternative per la salita.., che però non trova grossi ostacoli, ed in breve siamo alle ultime balze più decise che conducono al Passo Saplì (1.490 mt di quota), mentre la luna ancora non si vede, se non di riflesso sulle valli alle nostre spalle (bellissimi in lontananza il Tre Signori, il Ponteranica e le Grigne tutti imbiancati che già sono baciati dal candido chiarore ed illuminano la notte). Gli ultimi passi prima del valico li facciamo un po’ piegati in avanti, non dalla stanchezza, ma perché adesso il vento è tornato a soffiare con veemenza. Non sostiamo perciò a lungo nel primo alpeggio ancora immerso nelle tenebre, ma dopo aver trangugiato velocemente un panino, proseguiamo verso gli altri pascoli.., e adesso comincia lo spettacolo!
Le tremolanti luci della città sullo sfondo assomigliano in tutto e per tutto ad una colata lavica, mentre i prati innevati più sotto iniziano a ricevere i primi raggi di luna... foto da cartolina! Proseguiamo: servirebbe un cavalletto per poter fare foto in notturna, ma la neve è talmente compatta da permettere di appoggiarsi... e così gli scatti sono quasi tutti da incorniciare. Sulla cresta dell’Alben, spazzata dalle violenti folate, la neve si disperde in nubi che creano stupendi giochi di luce... ma ciò che più affascina è il silenzio surreale che ci circonda: per attimi restiamo ad ascoltarlo, ed è talmente inimmaginabile che mi viene in mente il testo di una canzone di cui non ricordo ne titolo ne autore: “... un silenzio che fa troppo rumore...”. Scatto a ripetizione nella zona della piccola cappella dedicata a San Rocco e non vorrei più abbandonare un tale paradiso... ma sono già le 20.45 ed è meglio rientrare: da bravi atleti mancati ci improvvisiamo in una corsa sulla neve compatta, ed anche il rientro si trasforma così in un divertimento, mentre possiamo ora ammirare anche i vicini Menna ed Arera riflettere la luce argentea... Sembrano degli enormi gioielli di madreperla! I genitori ci aspettano un po’ preoccupati, anche se io non sono nuovo a queste trovate... qualche anno fa in solitaria sono salito alla Capanna 2000 dell’Arera a godermi un eclissi di luna! Alle ore 22.00 la nostra piccola avventura si conclude ed anche Giorgio, seppur un po’ stanco, mi ringrazia per questa bella “gita”... i suoi compagni di scuola, il giorno successivo, lo prendono un po’ in giro chiedendogli: “ma non avevi niente di meglio da fare? Per vedere la luna bastava uscire alla finestra….” Eh no, io ed il mio fratello siamo sicuri che martedì scorso non avevamo proprio niente di meglio da fare!!!

mercoledì 16 gennaio 2008

"Orgoglio escursionista" in Val di Cogne

13 gennaio 2008

Ricapitolando…
E’ l’una e mezza, e sono seduto. Finalmente, direi, ma sottovoce.
Con consumato fare da escursionista EE – e perciò “macho” – trasferisco un panozzo dal fondo dello zaino direttamente al fondo dello stomaco.
Così, la fame passa in secondo piano, e posso finalmente dare un’occhiata in giro.
Beh, proprio non c’è male: neve, ma tanta, sotto i piedi, e montagne severe d’intorno, il Gran Nomenon su tutti, visto che la Grivola gioca a nascondino con le nuvole e solo ogni tanto lascia intravedere la sua cresta. Però anche così s’intuisce la sua imponenza ed eleganza…
L’alpeggio dove si trova il bivacco Gontier, la meta appena raggiunta dalla banda odierna di zainoinspallisti, è un vero e proprio gioiellino sotto l’abbraccio di quasi un metro di neve, tra quella vecchia e quella appena caduta (basti pensare che la staccionata del bivacco viene scavalcata quasi senza sollevare i piedi…), e dalla parte opposta della Grivola il paesaggio si apre verso la Valle Centrale e le Grand Jorasses e il Gran Combin, anche loro però con le cime avvolte dalle nuvole, cosicché ne possiamo ammirare solo i pendii innevati che digradano verso la bassa valle.
Se ci fosse sole pieno sarebbe un panorama decisamente da torcicollo, se già così è una meraviglia… guardando il bicchiere mezzo pieno, si può dire che questo è un assaggio, buono per quando torneremo quassù…

Con il secondo panino ad inseguire quello di prima, mi sovviene una domanda: ne è valsa la pena?
In fin dei conti, la sveglia è stata antidiluviana, il viaggio fino a Vieyes è durato la bellezza di tre ore, e la faticosa camminata in salita costante ben quattro ore. Ed ancora ci aspetta la discesa!
Ma un’altra domanda mi sovviene mentre assaggio una delle buonissime cupete fatte da Laura (chiedere a lei per la ricetta…): ma devo sempre farmi domande così stupide? Altroché, se ne è valsa la pena!
Tre ore in macchina in compagnia di Bicio (pardon… Dinamite Bla!) e degli altri sono volate via fra le chiacchiere, gli sfottò e le risate; la goduria di camminare nel fitto del bosco di abeti e larici così carichi di neve, con il mitico Gio là davanti a battere traccia nel mare di neve fresca (aiutato anche da Roberta, Roberto e Sonia, che con alterne fortune si sono avvicendati nell’arduo compito di apripista), è una roba che non so spiegare, è solo da provare; ed inoltre la soddisfazione di trovarsi in questo ambiente da fiaba ripaga da ogni fatica!

Un terzo panino, una foto di gruppo, un saluto di sfuggita ad un camoscio che si è fatto intravedere non lontano dal bivacco, e siamo pronti per la discesa, che sarà come sempre un gran divertimento, all’insegna del più puro “trekker pride”. I più prudenti (e quelli con qualche acciacchetto) ripercorreranno fedelmente la traccia battuta in salita, che nel fitto del bosco segue l’andamento a zig zag del sentiero estivo. I più temerari invece, capitanati da Gio, si dedicheranno all’arte del taglione, buttandosi dove possibile lungo la massima pendenza, non senza capitomboli vari nella neve fonda, creando così nel Vallone di Nomenon una vera e propria pista da slittino (si narra che sia passato di lì anche il buon Armin Zöggeler, prima di andare a vincere l’ennesima medaglia d’oro)!!!

E l’ennesima splendida giornata in compagnia della banda di Zainoinspalla (peccato solo per un unico momento triste, dato dalla visione lungo il sentiero delle carcasse di un paio di giovani camosci sbranati forse da cani randagi, o addirittura dai lupi) non può che terminare davanti ad una meritata birra, mentre cala la sera e il cielo è finalmente sgombro dalle nuvole.

Come direbbe una pubblicità, una giornata per monti con tanta neve così, con una compagnia così… non ha prezzo!
Si sale nel bosco in fila indiana - foto di Bicio

Il Gran Nomenon spunta fra le nuvole

Foto di gruppo al Bivacco Gontier (mt. 2310) - foto di Bicio

Bicio (alias "Dinamite Bla") e la leggiadra arte del "taglione"

P.S.: il racconto di Bicio potete leggerlo a questo indirizzo: http://www.zainoinspalla.it/resoconti/ciaspole_bivacco_gontier_1348.asp

lunedì 14 gennaio 2008

Befana di neve al Devero

6 gennaio 2008

Ai bambini cattivi, la Befana porta del carbone.
A quelli buoni, la dolce Euchess… ehm, no… dei dolci, e basta.
E a noi?
Tanta, tanta neve, caduta giù dal cielo nei giorni scorsi, e qui al Devero (dove già ce n’era un po’) solo la notte scorsa si sono posati a terra una trentina di centimetri di soffice polvere bianca (boni, state bboni… i narcos non c’entrano nulla!)

Dopo un lungo ed “incatenato” viaggio, partito sotto la pioggerella di Milano (per non dire del diluvio universale di Nova ;-))) ) e terminato in mezzo ad una leggera sfiocchettata, Dario, Marco, Roby ed io inforchiamo le ciaspole sorridendo a 127 denti per lo spettacolo che ci circonda.
La quieta piana dell’Alpe Devero ci accoglie ammantata di bianco sotto un cielo lattiginoso mentre la neve sta smettendo di scendere; che meraviglia questo posto, non mi stancherò mai di ripeterlo!
Ben imbacuccati ci s’incammina passando in mezzo alle belle baite della prima frazione, mentre le montagne si nascondono dietro le nuvole. Non abbiamo che il tempo di attraversare la piana, che smette di nevicare, e qualche timido squarcio azzurro s’insinua nel plumbeo grigiore del cielo; nel mentre partono le prime operazioni di dismissione abbigliamento pesante… e le macchine fotografiche sono già roventi da un pezzo!
In fondo alla piana, lo stradello battuto dalle motoslitte ci propone il primo ed unico strappo della giornata, ma per quanto breve è un signor strappo! E allora, giù a testa bassa e ci si dà che ci si dà sui bicip… no, tricip… o forse erano quadricipiti?!? Insomma, tutti i “cosi”cipiti sono chiamati a fare il loro bel dovere, anche se per pochi metri…
Incontriamo qui un paio di ragazzi, con cui divideremo il resto della passeggiata, ora assolutamente tranquilla e rilassante, sulla compatta neve battuta, lungo la traccia che si snoda a fianco del bosco di larici coi rami belli carichi di neve, incontrando qua e là qualche baita isolata in questo silenzio magico.
In men che non si dica, di là da un dosso compaiono le prime baite di Crampiolo, e mentre mi fermo ad aspettare Marco impegnato a scattare foto, Dario si fionda alla Locanda Fizzi, per confermare la prenotazione per il pranzo.

“All’una! Non prima, non dopo!”, si sente rispondere dal mitico Mario Ferraris, classe di ferro ’38 (ergo, 70 e non sentirli!!!), quando gli chiede per che ora ci si può mettere a tavola. Modi spicci i suoi, che potrebbero essere facilmente scambiati per scortesia, ma che per me significano soltanto sincerità, e che mi fanno apprezzare il vecchio Mario, rendendomelo particolarmente simpatico.
Il buon locandiere consiglia anche di non spingersi verso la diga di Codelago (che era la nostra meta preventivata), visto che le recenti nevicate hanno fatto impennare il pericolo valanghe fino al livello 4 (su una scala di 5). Dò un’occhiata al pendio sotto il quale dovremmo passare, ed in effetti è bello gonfio di neve che non aspetta altro che di fare un giretto a valle, e, ripensando anche a quello che ci è capitato settimana scorsa in Val Sambuzza, son ben felice di non proseguire oltre.

Resta però un’ora e mezza da riempire, e d’altra parte ciaspolare non è che sia per forza sinonimo di salire. Tutto questo candore intonso che ci circonda, poi, non è altro che un invito a lasciare qualche ghirigoro qua e là, e mentre i due ragazzi che ci hanno fatto compagnia decidono di andare comunque alla diga, noialtri andiamo a lasciare la firma delle nostre ciaspole lungo i prati attorno a Crampiolo, dirigendoci ora verso il sentiero per Codelago, ora verso il Lago delle Streghe, ora sui bei dossoni intorno a questo, per poi provare almeno un accenno di discesa in neve fresca… discesa, ho detto?!? Ma quale discesa? Anche tagliando il breve pendio lungo la massima pendenza, la coltre di neve ti tiene bloccato lì come uno spaventapasseri… Divertendoci così come pazzi (“Un bambinone!”, commenta Marco vedendomi nuotare nella neve alta con un sorriso esagerato, e non ha per niente torto!), si approssima l’ora del pranzo, e torniamo alla Locanda, mentre dai monti qui intorno si sentono alcuni tonfi sordi, che ancor più mi fanno pensare che accontentarsi non è sempre un peccato, anzi .

E il divertimento continua! Anche se (purtroppo) non c’è la spettacolare pasta Walser, il “surrogato” è da 110 e lode, ed il pranzo nella rustica sala, godendo del tepore del camino acceso proprio lì accanto, fra pasta al ragù, capriolo, polenta, strüdel e chi più ne ha più ne metta, è in sintonia con questi luoghi… semplicemente super, anche a detta di Dario e delle sue palpebre, che a fine mangiata tendono a chiudere le serrande.

A malincuore, si fa ora di lasciare Crampiolo, ed invece di tornare all’Alpe Devero per lo stradello dell’andata, decidiamo di compiere un anello, e scendiamo seguendo il corso del torrente, nel bel mezzo del bosco.
Mi sembra di essere in mezzo ad una favola, all’ombra dei larici pieni di neve, col torrente che mormora sottovoce, e sole e nuvole che si rincorrono svelando e nascondendo i profili delle imponenti montagne (a proposito, ma quanto è bella la Punta della Rossa?!?) e creando giochi di luce meravigliosamente impossibili da raccontare…

Tutto questo finché non siamo di nuovo alle auto, dove salutiamo i ragazzi che ci hanno fatto compagnia in questa bella, bella giornata, e senza nessuna fretta sganciamo le ciaspole e ci prepariamo a tornare a casa, non prima di essere passati a casa del Giorgio a riconsegnargli il paio di ciaspole che ci ha prestato (grazie di cuore, a nome anche di Marco).
Quando siamo di nuovo a Milano è buio, ma la luce di una splendida Epifania la porterò dentro a lungo.

Dolci?
Carbone?
No, grazie…
Quest’anno la Befana nella calza ci ha lasciato ben altro!!! ;-)))))

Al nostro arrivo, l'Alpe Devero sotto la neve

Bambinoni che lasciano la loro "firma" nella neve fresca

Una bella immagine di Crampiolo La magia del ciaspolare in mezzo al bosco

L'elegante ed inconfondibile profilo della Punta della Rossa

sabato 5 gennaio 2008

Point de la Pierre: neve, fatica e soddisfazione


22 dicembre 2007

“Certe cose bisogna avere proprio voglia di farle...”

Con queste parole il mio capo in ufficio commentava, venerdì 21 dicembre, la mia intenzione di andare per monti con le ciaspole solo il giorno dopo, sabato 22.

Ma a volte, si sente il bisogno di staccare la spina, di lasciarsi tutto dietro, e di gustare la montagna, la neve e la fatica.

Perché di fatica si è trattato, almeno per il sottoscritto.

La meta è di quelle notevoli, la Punta della Pierre, cima di 2653 mt. all'inizio della Val di Cogne. Anche il dislivello non scherza: sono quasi 1200 metri. L'amico Fabrizio di ZainoInSpalla, che ci accompagna oggi, spiega che questa è probabilmente l'escursione più impegnativa che organizza in questa stagione... Sicuramente la più impegnativa che io abbia mai affrontato in un giorno solo...

La partenza è comunque dolce, cominciamo tagliando i tornanti della gippabile che ci porta fino ai primi alpeggi, per accorciare un tratto di strada altrimenti lunghissimo. Il pendio è costante e, sebbene non durissimo, non accenna a diminuire.

Andando dentro e fuori dal bosco, cominciamo ad intravedere le cime dei 4000 che sovrastano la zona, il Gran Combin (qui in foto) e la Grivola (che in effetti i 4000 li sfiora soltanto).

Il cielo è coperto, ma per fortuna non fa freddo, e arriviamo senza problemi all'ultimo alpeggio. Da qui si esce dal bosco e comincia a mostrarsi la cima... Pia illusione: i più allenati ci metteranno un'oretta ad arrivare, gli altri almeno 15-20 minuti in più.

Ed infatti il gruppo si sgrana. La salita ora è davvero dura, e mi metto ad andare con il mio passo, lasciando correre avanti chi ha più gambe di me.

Salendo, noto che riesco a tenere senza problemi il passo di Giovanni, la guida alpina che ci accompagna insieme a Fabrizio. L'euforia dura ben poco: in realtà Giovanni sta molto male di stomaco, e ad un certo punto è costretto a fermarsi, proprio non ce la fa.

La salita, curva dopo curva, sembra non finire mai, la cima sempre alla stessa distanza. Per la prima volta dopo tantissimo tempo mi rendo conto di stare arrivando al mio limite, e ad un certo punto, anche se solo per un breve momento, mi balena in testa un pensiero: “Qua finisce che mi pianto...”.

L'unica soluzione è rallentare ancora il passo, fermandomi quando devo per tirare il fiato, e quelli che sono davanti a me (alcuni addirittura già arrivati) vadano pure...

Alla fine, passo passo, arrivo anch'io, e scopro di avere davvero esaurito anche la riserve, ma questo mi rende ancora più soddisfatto del risultato.

Il primo panino che estraggo dallo zaino nemmeno lo vedo, praticamente lo sbrano in due morsi, e do fondo alle scorte di tè caldo che mi sono portato dietro. Arriva anche Giovanni: per fortuna lo stomaco va meglio, e riesce anche lui a guadagnare la cima. Pian piano recupero, e riesco ad affrontare la discesa in mezzo alla neve fresca (la vera goduria del ciaspolatore, per chi ancora non lo sapesse) con quel tanto che basta di energie per apprezzarla e divertirmi.

Una giornata di fatica come forse non me ne sono mai capitate. Ma, come dice il mio capo: “Certe cose bisogna avere proprio voglia di farle...”


martedì 1 gennaio 2008

Lezione in Val Sambuzza

Cronaca di una disavventura in montagna, per fortuna senza conseguenze gravi…

Già… capita sempre “agli altri”. Chissà perché a tutti noi, alpinisti/escursionisti più o meno esperti, viene sempre la tentazione di credersi infallibili o quantomeno indenni da incidenti… poi ti ritrovi a vivere situazioni che preferiresti vedere solo comodamente seduto sulla poltrona di una sala cinematografica o davanti al televisore!

Sabato 29 dicembre è una stupenda giornata di sole e la montagna richiama i propri amanti a farsi accarezzare i fianchi, un po’ gelati, ma stupendi!
L’appuntamento è fissato alle ore 8 a S. Giovanni Bianco, per poi salire insieme al ben noto posteggio di Carona da dove parte il sentiero per il rifugio Calvi.
Io e Daniele è un po’ che non ci muoviamo più sui sentieri (dal 1 di novembre, per l’esattezza), e pure Bruno è smanioso, seppur un po’ fuori allenamento, di perdersi nella maestosità della montagna.
Raggiunta l’imponente cascata ghiacciata che qualche alpinista si appresta a scalare, pieghiamo a sinistra sul sentiero che porta in Val Sambuzza, a mio avviso (e anche di Daniele) una delle più dolci ed affascinanti dell’intera Val Brembana.
Ben presto il freddo è dimenticato, ed il sole ci riscalda ed illumina il cammino verso il Passo del Publino, alla testa della valle, che già scorgiamo appena imbiancato dallo scarso innevamento di questo inizio d’inverno avaro di precipitazioni. Ciò che notiamo da subito è invece il ghiaccio, che più volte ci spinge ad abbandonare la traccia del sentiero, troppo battuta ed infida. Tutto come da copione, una stupenda uscita nello splendore della montagna in veste semi-invernale… le nostre forze ci permettono di raggiungere agevolmente i 2.368 mt del Passo, da dove possiamo godere di una stupenda visuale sul vicino Pizzo Zerna e Monti Masoni a destra e sul poco più lontano Corno Stella alla nostra sinistra. Davanti a noi la catena delle Retiche, anch’esse ancora poco imbiancate. Torniamo sui nostri passi per pochi metri e consumiamo il pranzo davanti al bel bivacco Pedrinelli, dove il nostro occhio cade su una lapide, di cui già conosciamo la motivazione: ciò che ci colpisce che è proprio l’anniversario della tragedia che vide coinvolti tre sci-alpinisti.
Non indugiamo molto; è nostra intenzione, infatti, compiere una variante al sentiero del ritorno. Abbiamo visto all’andata (ed io avevo già proposto nei giorni precedenti) il sentiero che porta ai laghetti del Caldirolo, appena sotto il Monte Chierico. Appena lasciamo il sentiero principale, capiamo che la poca neve è stata spazzata più volte dal vento: a tratti dove si sprofonda fino all’anca, si alternano altri dove si cammina praticamente sul ghiaccio ricoperto da un sottile strato di nevischio. Il tutto, se affrontato con la dovuta attenzione, è sicuramente faticoso, ma anche motivo di risa e divertimento. Presto raggiungiamo il costone che divide l’ampia valle principale da quella più modesta dei laghetti. Qui la neve è ancora più scarsa, anche perché l’esposizione al sole e la pendenza sono maggiori ed il versante è protetto dai venti freddi. Ecco allora che ci si dispone in fila indiana: Daniele davanti che canticchia gioioso, io in mezzo ad attendere un attimo Bruno che accusa un po’ di dolore al ginocchio destro. Il nostro apripista ci comunica che preferisce scendere lungo il pendio erboso, piuttosto che effettuare un traverso (che probabilmente corrisponde all’effettivo sentiero) che ritiene più pericoloso sulla poca neve e ghiaccio. Io, fidandomi della sua versione, quasi nemmeno lo seguo, intento invece ad attendere Bru… Ma proprio mentre guido i suoi passi, ecco interrompersi in modo strano il canticchiare di Daniele… Mi volto di scatto e lui è già 10 metri sotto di noi, schiena a terra, che si dimena alla disperata ricerca di un appiglio… le racchette da trekking volano via mentre la velocità della caduta libera aumenta in modo pericoloso… subito alla mia mente riaffiora l’immagine di mio papà che solo due anni prima era scivolato allo stesso modo sulla neve ghiacciata tra i Laghi Gemelli ed il Lago Colombo (per fortuna senza nessuna conseguenza)… Quando sembra che la velocità diminuisca ed il nostro amico possa riprendere il controllo della situazione, l’inaspettato… una roccia sotto di lui lo scaglia in un salto nel vuoto di alcuni metri e lo toglie alla nostra visuale… il fiato ci si spezza in gola, ma tentiamo subito di chiamare Daniele, che risponde prima con un verso rauco, subito seguito da uno un po’ più confortante. Che fare? Dico a Bruno di aspettare dove si trova, e mi butto con cautela, ma con la tensione alle stelle, sullo stesso pendio erboso dove il mio amico è caduto: recupero dapprima le sue racchette, poi finalmente lo vedo e lo chiamo più volte. Appena lo raggiungo, noto che si è fermato nella neve slavinata, a pochi metri da una seconda roccia, dove se avesse cozzato… Mi sincero del suo stato: è cosciente, anche se scioccato e senza fiato dallo spavento… Per fortuna se ne esce subito con il suo solito “Stai sereno!”. Qualche graffio, la tuta strappata, dolore alla schiena e al piede destro, ma in condizione di attendere che io torni ancora in cima al pendio per recuperare Bruno… che però ha già proseguito sul sentiero vero e proprio ed è arrivato all’altezza dei laghetti ghiacciati. Lo raggiungo ed insieme torniamo da Daniele: "bisogna chiamare l'elicottero, la mia caviglia è andata" è la sua lapidaria descrizione della situazione. Lo aiuto ad uscire dalla neve dove ancora si trova e lo faccio sedere su un masso. Ok, sono le 13.15, il versante è ben soleggiato e Bruno ha pure uno di quei teli argentati per proteggersi dall’ipotermia… i cellulari non hanno segnale, e nemmeno il 118 è raggiungibile… Parto allora di corsa sul terreno non facile, lasciando Bruno a far compagnia a Daniele… Sbaglio anche sentiero e mi ritrovo su massi ricoperti da neve traditrice, ma per fortuna in breve sono sul sentiero principale e così posso accelerare. Alla baita del Lago di Val Sambuzza trovo due escursionisti, a cui chiedo se il loro gestore di telefonia è diverso dal mio e riescono perciò a chiamare il soccorso… niente, stesso gestore, giù ancora di corsa telefono alla mano (loro invece risalgono subito il pendio e fotograferanno le operazioni di salvataggio). Già capisco dove sarà possibile chiamare: sono partito da una quota di circa 2.200 mt., e fino ai 1.700 ca. dove la mattina Daniele aveva chiamato la moglie non c’è segnale! Raggiunto il punto alle 13.45 ca., chiamo e fornisco tutti i dati utili all’addetto del 118. Ora devo risalire, ma la paura per le condizioni del mio amico si fanno avanti nella mente: temo per possibili lesioni interne, e questo pensiero mi mette le ali ai piedi, anche se son già parecchio stanco. Dopo solo 10 min dalla telefonata, sento le pale dell’elicottero a distanza ed in poco lo vedo passare sopra la mia testa e dirigersi sicuro al punto esatto. A me manca ancora un bel pezzo di salita. Quando riguadagno il luogo dell’incidente, l’elicottero ha già scaricato i tre uomini dell’equipe medica che stanno immobilizzando Daniele. Tutto bene, grazie al cielo! Il piede è fratturato, il dolore alla schiena è da esaminare, ma sembra nulla di grave. Daniele mi ringrazia e mi affida il compito di avvisare la moglie, mentre chiedo spiegazioni ai dottori sul da farsi. Le operazioni di recupero con il verricello sono spettacolari ed in breve il nostro amico e l’equipe vengono issati sull’elicottero, che punta veloce verso Bergamo. Nella valle torna il silenzio: io e Bruno adesso dobbiamo scendere con la nostra attrezzatura e quella di Daniele, ma la gioia per l’esito non grave della nostra disavventura ci fa superare anche alcune difficoltà di discesa e la stanchezza.
Avvisare Laura, moglie di Daniele, non è certo facile, ma riesco a mascherare la tensione ed informarla su cosa bisogna fare.
Solo la sera apprendo da lei che Daniele, esaminato e ricoverato presso la Clinica Gavazzeni, ha subito la frattura dell’osso del metatarso del piede destro (da operare) e ha due vertebre incrinate (problema che si può curare solo con un bustino e tanto riposo).
Cosa aggiungere: solo costatare quanto siamo stati fortunati rispetto a tante situazioni simili, dove purtroppo non si esce vivi! Per noi che crediamo c’è Qualcuno che ha voluto che non finisse tutto in tragedia, ma solo in una scuola di vita e di atteggiamento di totale rispetto e umiltà di fronte alla Montagna. Lo ringraziamo per avere ancora la fortuna di camminare insieme sui Suoi sentieri, anche se per un po’ adesso sarà meglio parlare d’altro…!
Solo una nota al consiglio dato da L’ECO DI BERGAMO a fianco della cronaca della vicenda, domenica 30 dicembre scorso: “Chi non è esperto, dovrebbe quindi privilegiare escursioni a bassa quota (non oltre i 1.000-1.500 metri) e sempre su versanti ben soleggiati e non ripidi. Per gli esperti occhio all’equipaggiamento, in particolare non tralasciare piccozza, ramponi e corda.” Non siamo alpinisti esperti, ma nemmeno sprovveduti alla prima uscita o tantomeno ricercatori del pericolo ad ogni costo… di tratti simili o peggiori ne abbiamo attraversati più e più volte… non c’era assolutamente ghiaccio a causare la caduta, ed indossare ramponi in tratti misti o addirittura di solo paglia non sarebbe consigliato da nessuna guida alpina… Solo che a volte tutto il possibile, utile e consigliabile non basta ad evitare il caso.