martedì 1 gennaio 2008

Lezione in Val Sambuzza

Cronaca di una disavventura in montagna, per fortuna senza conseguenze gravi…

Già… capita sempre “agli altri”. Chissà perché a tutti noi, alpinisti/escursionisti più o meno esperti, viene sempre la tentazione di credersi infallibili o quantomeno indenni da incidenti… poi ti ritrovi a vivere situazioni che preferiresti vedere solo comodamente seduto sulla poltrona di una sala cinematografica o davanti al televisore!

Sabato 29 dicembre è una stupenda giornata di sole e la montagna richiama i propri amanti a farsi accarezzare i fianchi, un po’ gelati, ma stupendi!
L’appuntamento è fissato alle ore 8 a S. Giovanni Bianco, per poi salire insieme al ben noto posteggio di Carona da dove parte il sentiero per il rifugio Calvi.
Io e Daniele è un po’ che non ci muoviamo più sui sentieri (dal 1 di novembre, per l’esattezza), e pure Bruno è smanioso, seppur un po’ fuori allenamento, di perdersi nella maestosità della montagna.
Raggiunta l’imponente cascata ghiacciata che qualche alpinista si appresta a scalare, pieghiamo a sinistra sul sentiero che porta in Val Sambuzza, a mio avviso (e anche di Daniele) una delle più dolci ed affascinanti dell’intera Val Brembana.
Ben presto il freddo è dimenticato, ed il sole ci riscalda ed illumina il cammino verso il Passo del Publino, alla testa della valle, che già scorgiamo appena imbiancato dallo scarso innevamento di questo inizio d’inverno avaro di precipitazioni. Ciò che notiamo da subito è invece il ghiaccio, che più volte ci spinge ad abbandonare la traccia del sentiero, troppo battuta ed infida. Tutto come da copione, una stupenda uscita nello splendore della montagna in veste semi-invernale… le nostre forze ci permettono di raggiungere agevolmente i 2.368 mt del Passo, da dove possiamo godere di una stupenda visuale sul vicino Pizzo Zerna e Monti Masoni a destra e sul poco più lontano Corno Stella alla nostra sinistra. Davanti a noi la catena delle Retiche, anch’esse ancora poco imbiancate. Torniamo sui nostri passi per pochi metri e consumiamo il pranzo davanti al bel bivacco Pedrinelli, dove il nostro occhio cade su una lapide, di cui già conosciamo la motivazione: ciò che ci colpisce che è proprio l’anniversario della tragedia che vide coinvolti tre sci-alpinisti.
Non indugiamo molto; è nostra intenzione, infatti, compiere una variante al sentiero del ritorno. Abbiamo visto all’andata (ed io avevo già proposto nei giorni precedenti) il sentiero che porta ai laghetti del Caldirolo, appena sotto il Monte Chierico. Appena lasciamo il sentiero principale, capiamo che la poca neve è stata spazzata più volte dal vento: a tratti dove si sprofonda fino all’anca, si alternano altri dove si cammina praticamente sul ghiaccio ricoperto da un sottile strato di nevischio. Il tutto, se affrontato con la dovuta attenzione, è sicuramente faticoso, ma anche motivo di risa e divertimento. Presto raggiungiamo il costone che divide l’ampia valle principale da quella più modesta dei laghetti. Qui la neve è ancora più scarsa, anche perché l’esposizione al sole e la pendenza sono maggiori ed il versante è protetto dai venti freddi. Ecco allora che ci si dispone in fila indiana: Daniele davanti che canticchia gioioso, io in mezzo ad attendere un attimo Bruno che accusa un po’ di dolore al ginocchio destro. Il nostro apripista ci comunica che preferisce scendere lungo il pendio erboso, piuttosto che effettuare un traverso (che probabilmente corrisponde all’effettivo sentiero) che ritiene più pericoloso sulla poca neve e ghiaccio. Io, fidandomi della sua versione, quasi nemmeno lo seguo, intento invece ad attendere Bru… Ma proprio mentre guido i suoi passi, ecco interrompersi in modo strano il canticchiare di Daniele… Mi volto di scatto e lui è già 10 metri sotto di noi, schiena a terra, che si dimena alla disperata ricerca di un appiglio… le racchette da trekking volano via mentre la velocità della caduta libera aumenta in modo pericoloso… subito alla mia mente riaffiora l’immagine di mio papà che solo due anni prima era scivolato allo stesso modo sulla neve ghiacciata tra i Laghi Gemelli ed il Lago Colombo (per fortuna senza nessuna conseguenza)… Quando sembra che la velocità diminuisca ed il nostro amico possa riprendere il controllo della situazione, l’inaspettato… una roccia sotto di lui lo scaglia in un salto nel vuoto di alcuni metri e lo toglie alla nostra visuale… il fiato ci si spezza in gola, ma tentiamo subito di chiamare Daniele, che risponde prima con un verso rauco, subito seguito da uno un po’ più confortante. Che fare? Dico a Bruno di aspettare dove si trova, e mi butto con cautela, ma con la tensione alle stelle, sullo stesso pendio erboso dove il mio amico è caduto: recupero dapprima le sue racchette, poi finalmente lo vedo e lo chiamo più volte. Appena lo raggiungo, noto che si è fermato nella neve slavinata, a pochi metri da una seconda roccia, dove se avesse cozzato… Mi sincero del suo stato: è cosciente, anche se scioccato e senza fiato dallo spavento… Per fortuna se ne esce subito con il suo solito “Stai sereno!”. Qualche graffio, la tuta strappata, dolore alla schiena e al piede destro, ma in condizione di attendere che io torni ancora in cima al pendio per recuperare Bruno… che però ha già proseguito sul sentiero vero e proprio ed è arrivato all’altezza dei laghetti ghiacciati. Lo raggiungo ed insieme torniamo da Daniele: "bisogna chiamare l'elicottero, la mia caviglia è andata" è la sua lapidaria descrizione della situazione. Lo aiuto ad uscire dalla neve dove ancora si trova e lo faccio sedere su un masso. Ok, sono le 13.15, il versante è ben soleggiato e Bruno ha pure uno di quei teli argentati per proteggersi dall’ipotermia… i cellulari non hanno segnale, e nemmeno il 118 è raggiungibile… Parto allora di corsa sul terreno non facile, lasciando Bruno a far compagnia a Daniele… Sbaglio anche sentiero e mi ritrovo su massi ricoperti da neve traditrice, ma per fortuna in breve sono sul sentiero principale e così posso accelerare. Alla baita del Lago di Val Sambuzza trovo due escursionisti, a cui chiedo se il loro gestore di telefonia è diverso dal mio e riescono perciò a chiamare il soccorso… niente, stesso gestore, giù ancora di corsa telefono alla mano (loro invece risalgono subito il pendio e fotograferanno le operazioni di salvataggio). Già capisco dove sarà possibile chiamare: sono partito da una quota di circa 2.200 mt., e fino ai 1.700 ca. dove la mattina Daniele aveva chiamato la moglie non c’è segnale! Raggiunto il punto alle 13.45 ca., chiamo e fornisco tutti i dati utili all’addetto del 118. Ora devo risalire, ma la paura per le condizioni del mio amico si fanno avanti nella mente: temo per possibili lesioni interne, e questo pensiero mi mette le ali ai piedi, anche se son già parecchio stanco. Dopo solo 10 min dalla telefonata, sento le pale dell’elicottero a distanza ed in poco lo vedo passare sopra la mia testa e dirigersi sicuro al punto esatto. A me manca ancora un bel pezzo di salita. Quando riguadagno il luogo dell’incidente, l’elicottero ha già scaricato i tre uomini dell’equipe medica che stanno immobilizzando Daniele. Tutto bene, grazie al cielo! Il piede è fratturato, il dolore alla schiena è da esaminare, ma sembra nulla di grave. Daniele mi ringrazia e mi affida il compito di avvisare la moglie, mentre chiedo spiegazioni ai dottori sul da farsi. Le operazioni di recupero con il verricello sono spettacolari ed in breve il nostro amico e l’equipe vengono issati sull’elicottero, che punta veloce verso Bergamo. Nella valle torna il silenzio: io e Bruno adesso dobbiamo scendere con la nostra attrezzatura e quella di Daniele, ma la gioia per l’esito non grave della nostra disavventura ci fa superare anche alcune difficoltà di discesa e la stanchezza.
Avvisare Laura, moglie di Daniele, non è certo facile, ma riesco a mascherare la tensione ed informarla su cosa bisogna fare.
Solo la sera apprendo da lei che Daniele, esaminato e ricoverato presso la Clinica Gavazzeni, ha subito la frattura dell’osso del metatarso del piede destro (da operare) e ha due vertebre incrinate (problema che si può curare solo con un bustino e tanto riposo).
Cosa aggiungere: solo costatare quanto siamo stati fortunati rispetto a tante situazioni simili, dove purtroppo non si esce vivi! Per noi che crediamo c’è Qualcuno che ha voluto che non finisse tutto in tragedia, ma solo in una scuola di vita e di atteggiamento di totale rispetto e umiltà di fronte alla Montagna. Lo ringraziamo per avere ancora la fortuna di camminare insieme sui Suoi sentieri, anche se per un po’ adesso sarà meglio parlare d’altro…!
Solo una nota al consiglio dato da L’ECO DI BERGAMO a fianco della cronaca della vicenda, domenica 30 dicembre scorso: “Chi non è esperto, dovrebbe quindi privilegiare escursioni a bassa quota (non oltre i 1.000-1.500 metri) e sempre su versanti ben soleggiati e non ripidi. Per gli esperti occhio all’equipaggiamento, in particolare non tralasciare piccozza, ramponi e corda.” Non siamo alpinisti esperti, ma nemmeno sprovveduti alla prima uscita o tantomeno ricercatori del pericolo ad ogni costo… di tratti simili o peggiori ne abbiamo attraversati più e più volte… non c’era assolutamente ghiaccio a causare la caduta, ed indossare ramponi in tratti misti o addirittura di solo paglia non sarebbe consigliato da nessuna guida alpina… Solo che a volte tutto il possibile, utile e consigliabile non basta ad evitare il caso.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

CHI VI SCRIVE E' LA MOGLIE DI DANIELE.
SI DICONO TANTE BANALITA' IN QUESTI CASI ("POTEVATE", "DOVEVATE", ECC....). CREDO SOLO CHE NIENTE CAPITI PER CASO E CHE SAREBBE TROPPO BELLO PREVEDERE QUANTO CI ACCADRA'. DI UNA COSA SONO CERTA. IN MONTAGNA E' BELLO ANDARE IN COMPAGNIA, PRIMO PERCHE' INSIEME SI CONDIVIDONO SPETTACOLI ED EMOZIONI CHE SOLO CHI AMA VERAMENTE LA MONTAGNA PUO' SENTIRE. SECONDO (E FORSE E' UN CONSIGLIO MENO POETICO E PIU' PRATICO)PERCHE' NON SI SA MAI COSA PUO' SUCCEDERE, MAGARI ANCHE PICCOLE COSE, SENZA PENSARE A DISGRAZIE, MA ANCHE A BANALI DISTORSIONI ECC...
IO DEVO RINGRAZIARE DI CUORE TUTTI GLI AMICI CHE IN QUESTO MOMENTO SONO STATI IL VERO VALORE AGGIUNTO NELLA MIA VITA E IN PARTICOLARE DIEGO, CHE MI HA DIMOSTRATO (ANCHE SE NON CE N'ERA BISOGNO) QUANTO E' IMPORTANTE NELLA NOSTRA VITA.
LAURA BARANI

Roger ha detto...

Ringrazio di cuore Laura...! E condivido ogni singola parola del suo commento: appunto per questo è bello condividere la passione per la Montagna, perché fa nascere amicizie VERE!

Brünig ha detto...

Non posso che essere anch'io d'accordo con voi... ed è davvero solo grazie a Dio se questa giornata potremo ricordarla come un'esperienza di cui fare tesoro e non qualcosa di molto, molto peggio.
Vorrei solo aggiungere il mio grazie a Diego, per aver una volta di più dimostrato di essere un grande amico, e soprattutto un grande in bocca al lupo ed arrivederci a presto a Daniele, che sono contento di aver conosciuto!