martedì 25 dicembre 2007

Tutti quanti noi, di solito, sogniamo un Natale pieno di neve.
Dieci anni fa, il giorno di Natale, sull'Annapurna di neve ce n'era tanta davvero, metri e metri.
Quel giorno, tre persone stavano tentando di raggiungere la cima di quella splendida montagna, uno dei quattordici 8000 della Terra, per una via nuova.
Un boato secco, ed un'enorme cornice di neve si staccò dalla cresta, travolgendo i tre alpinisti.
Dopo un volo di ottocento metri, Simone Moro riuscì in un modo o nell'altro a portare a casa la pelle.
Ma Dimitri Sobolev e Anatolij Bukreev, purtroppo, non uscirono mai più dalla valanga, che li portò via per sempre.
Qualche mese fa ho avuto la fortuna e il piacere di leggere il libro "Un posto in cielo - i diari di un eroe inconsapevole" (CDA & Vivalda Editori), la rielaborazione dei diari di Bukreev curata dalla sua compagna, Linda Wylie (grazie ad Ely che me l'ha prestato), e mi ha fatto conoscere un personaggio straordinario, assolutamente fuori dal comune per la sua gentilezza, semplicità ed umiltà, al di là delle indiscusse doti alpinistiche. Se non lo conoscete, questa lettura ve la consiglio di cuore.
Dieci anni, una vita fa.
Vorrei ricordarlo oggi, con un suo pensiero:
"Le grandi montagne sono un mondo completamente a parte: neve, ghiaccio, roccia, cielo, aria sottile. Queste cose non puoi conquistarle, puoi solo elevarti alla loro altezza per poco tempo e in cambio esse ti chiedono molto. La tua lotta non é contro un nemico o un concorrente, come nello sport, ma con te stesso, con la tua debolezza e la tua inadeguatezza. Questa é la lotta che mi attrae, ed é per questo che sono diventato un alpinista.
Ogni montagna é diversa dalle altre, ognuna é una vita differente che hai vissuto. Arrivi in cima dopo aver rinunciato a tutto quello che credevi necessario alla sopravvivenza, e ti trovi solo con la tua anima. In quel vuoto puoi riesaminare, in un'ottica diversa, te stesso e tutti i rapporti e gli oggetti che fanno parte del mondo normale." (Anatolij Bukreev).
P.S.: Un pensiero vorrei rivolgerlo anche ad un altro forte alpinista, che ha lasciato questo mondo proprio ieri: Bruno Tassi, il "Camoss". Forse nessuno di noi lo conosceva di persona, ma chiunque abbia mai assistito alla scalata del campanile di Cornalba in occasione della Festa del Villeggiante, avrà capito di chi sto parlando.

domenica 23 dicembre 2007

Agli alpeggi alti di Varzo

9 dicembre 2007

Erano lì.
Da qualche settimana, ormai, ogni volta che entravo nel mio box, mi guardavano quasi imploranti e mi chiedevano: "Ma quando tocca a noi?".

Le mie ciaspole.
Sentivano che era tornato il freddo, ed avevano una gran voglia di mordere la neve.

L'occasione di rimetterle ai piedi è scattata il 9 dicembre, con la mia prima ciaspolata della stagione agli alpeggi alti di Varzo, condotta dall'amico Giorgio, ormai nostro riferimento storico per l'Ossola ed il Piemonte.

Partiamo da San Domenico con un tempo non eccezionale, ma il percorso che ci attende è tranquillo e non abbiamo fretta.

L'obbiettivo è girare, appunto, per gli alpeggi della zona, per poi fermarci ai 1900 mt. circa dell'Alpe Coatè per mangiare.

Sono leggermente fuori allenamento (camminare sulle ciaspole è un po' più faticoso che a piedi), ma non appena la gamba si scalda, cerco di aumentare un po' il passo, e mi faccio nuovamente coinvolgere dall'atmosfera che mi mancava. Ecchissenefrega se la giornata non è bella, se il cielo è velato e fa freddo.
E comunque, qualche squarcio di sole regala anche delle belle immagini, come questa:


Usciti dal bosco, cominciamo ad ammirare le vedute dei Pizzi della zona: il Balzo, il Dosso e il Boni.

Ad un certo punto, per via delle diverse andature, il gruppo si sgrana un po', ed io mi ritrovo da solo ad attraversare una zona dove, di fianco alla traccia battuta da chi mi ha preceduto, c'è uno spiazzo di neve piatta e pulita.
Praticamente le mie ciaspole si muovono da sole, e mi sposto sulla sinistra per affondare nella neve incontaminata.
Una goduria che aspettavo da mesi!

Quando arriviamo all'Alpe Coatè fa proprio freddo, e per mangiare occorre coprirci bene. Rivolgo una preghiera a quella santa donna di mia madre, che stamattina si è ricordata di prepararmi il thermos con il tè caldo. Lo sorseggio con gran gusto...

Dopo la foto di gruppo, visto che il tempo peggiora, decidiamo di ripartire, e qui arriva l'ultima soddisfazione della giornata: nevica! il ritorno avviene sotto una fioccata notevole.

La mia stagione delle ciaspole non poteva cominciare meglio!


martedì 18 dicembre 2007

Neve e sole in Val Bognanco

16 dicembre 2007

Neanche una nuvola intacca il blu del cielo sopra la Val Bognanco, in questa mattina di metà dicembre. Penso alle notizie dei tg che raccontano di un’Italia sferzata dal freddo e dal maltempo, e mi sa che noi zainoinspallisti eco-voyeur di giornata siamo ben più che fortunati ad aver pescato dal mazzo di carte un jolly così.

Le auto sono lasciate a riposare nel piccolo parcheggio davanti all’Oratorio di San Bernardo e Giorgio, tra un acceso diverbio con una bacchetta che non vuole saperne di fare il suo dovere e un racconto sui cervi e la lupa che bazzicano questi luoghi, può finalmente far partire la ciaspolata. Per una decina di minuti seguiamo lo stradello in leggera discesa in mezzo al bel bosco di abeti finché, attraversato il ponte sul torrente semi-ghiacciato, si comincia a salire. Lasciamo subito lo stradello per seguire la traccia battuta dalla nostra Guida fra gli alberi. Giorgio tiene un passo costante ma tranquillo, ed il gruppo lo segue a ranghi ben serrati.
Giunti all’Alpe Paione il bosco si dirada e la valle si apre, cominciando a svelare la sua magica bellezza. Facciamo qui la nostra prima pausa, che qualcuno dedicherà a mangiare un panino, qualcuno a scattare le prime foto di giornata, e qualcuno a togliersi giacche a vento e pile, fino a restare in mezze maniche. Eh sì, nel resto d’Italia c’è tanto di quel freddo… che il tepore ce lo teniamo tutto per noi!
Si riparte in direzione del Lago Inferiore del Paione, rigorosamente in fila indiana, questa volta in un più rado bosco di larici che attraverso i loro rami spogli permettono ai raggi del sole di passare, e a noi di contemplare la bellezza del panorama.
Alla fine del bosco un’ultima rampetta ci porta sulla sponda destra del lago, a duemila metri di quota. E’ davvero una meraviglia, il lago ricoperto da una bianca coperta di neve è delimitato a monte da una fascia verticale di rocce, che altro non è se non il salto che scende dal pianoro che ospita il secondo lago, quello di Mezzo, mentre due ripidi pendii appoggiati alle pareti del Dosso e del Giezza conducono entrambi al Lago di Mezzo. Il pendio davanti a noi è più ripido, mentre quello dalla parte opposta, lungo il quale si snoda il sentiero estivo, sarebbe potenzialmente più pericoloso, perché è proprio sotto ad un paio di canali, e se fosse appena nevicato questo vorrebbe dire slavina garantita…
Mentre Giorgio pondera il da farsi, dallo zaino-cambusa di Andrea salta fuori ogni ben di Dio: nocciole, sfogliatine e chi più ne ha più ne metta… manca solo che da lì dentro esca un tavolo con le sedie, manco Eta Beta!!! Mittttico Andre!!!!
Dopo il “parco” spuntino si riparte: viste le condizioni della neve (un crostone che non si spacca manco col martello pneumatico…) Giorgio opta per il pendio del sentiero estivo, che risaliamo piuttosto velocemente a zig zag, ed in breve abbiamo guadagnato un altro centinaio di metri di dislivello, fino al Lago di Mezzo. Attraversiamo ora il pianoro (con una breve digressione che ci porta a fare quattro passi sulla superficie gelata del lago) per riportarci verso sinistra e salire verso il Lago Superiore, ma… c’è sempre un ma…
Succede che un componente della banda non si senta bene, non è nulla di grave, ma la prudenza gli fa decidere di fermarsi qui. In tre ci si ferma a fargli compagnia, mentre il resto della ciurma scompare ben presto alla vista oltre il ripido pendio. In fondo è già quasi l’una, il posto è un incanto, ed in più avremo anche la scusa (se mai ce ne fosse bisogno) di tornare qui per vedere il resto dello show…
Fra un panino ed una chiacchierata ecco gli altri di ritorno, una bella foto di gruppo e via che si riparte. Il malessere del nostro compare fortunatamente è ormai passato, e possiamo dedicarci alla goduria della discesa, chi seguendo la traccia della salita e chi andando giù dritto per dritto. E’ sempre una libidine la discesa con le ciaspole, e pazienza se non c’è quella bella polvere che ti fa affondare a dovere e fare i voli più esagerati…
La discesa vola via e ben presto, complici anche le chiacchiere a ruota libera, siamo di nuovo alle macchine, per darci appuntamento al bar di San Lorenzo, dove ci attende l’ultima bella sorpresa di giornata. Qualcuno (uno a caso…) fa apparire d’incanto una bottiglia del mitico Bicerin (che non è un parente di Bicio più basso… ;-) ), spettacolare liquore a base di gianduiotto!!!!

Va da sé che oramai della gloriosa bottiglia non rimane che lo splendido ricordo… a degna conclusione di una giornata fantastica in un posto che per quanto l’immaginassi bello ha di gran lunga superato le aspettative, insieme a compagni di viaggio che hanno ancor più impreziosito la prima ciaspolata di questa stagione.
E se il buon giorno si vede dal mattino… siamo a cavallo!

mercoledì 21 novembre 2007

Una giornata in Val Otro...

Un paio di settimane fa abbiamo passato una bellissima domenica in compagnia, in un posto meraviglioso, una delle valli che più amo fra le - per ora - poche (ahimè) che ho visitato, in un ambiente da favola, con un cielo azzurrissimo a far da sfondo alla prima neve fra le rocce e al legno scuro delle baite walser fra i prati.
Splendida giornata, posto incantevole, ed ottima compagnia, con le "gnu èntri" Donatella, Rossella e Mauro, più la "gnu ri-èntri" Baby Guge, a condividere il sentiero con i "volti noti" Marco, Andrea e Bruno...
la combriccola dei VagaMonti cresce ancora... BELLISSIMO!!!
Grazie a tutti quanti, di cuore, ma spazio alle impressioni di Dona:

DOMENICA 4 novembre ’07

Sveglia alle 6.00 colazione e partenza. Arrivo alle 9.30 ad Alagna pausa caffè e pronti via…. inizia la mia prima escursione in montagna. Arrivati dopo tanta fatica al rifugio, è stato bellissimo vedere il paesaggio autunnale della montagna, era talmente bello e si stava talmente bene che ogni fatica fatta per raggiungere il posto era come svanita…..
Per non parlare del magnifico pranzo del rifugio Zar Senni che direi è stato super appagante… gli affettati, le cipolline la gustosissima polenta oncia e la crostata di mirtilli….
Dopo aver finito di degustare fantastici piatti a malincuore ci siamo incamminati per ritornare verso il paese di Alagna.
Per me è stata un ottima esperienza sia per il paradisiaco paesaggio che per l’ottima compagnia.
Esperienza sicuramente da rifare, mi sono divertita veramente tanto, e devo dire che il giorno dopo grazie allo stretching non ho neanche avuto dolori muscolari.

Sono contentissima grazie a Baby, Andrea, Bruno, Rossella, Mauro e Marco.

giovedì 8 novembre 2007

Lezioni di vita di un'alpinista vera: Nives Meroi

E' già da un po' che ho ricevuto da una cara coppia di amici questa bellissima mail, che pubblico molto volentieri... Mi piacerebbe scrivere qualcosa anche delle due ultime uscite ravvicinate in montagna: venerdì scorso sul Pietra Quadra - Passo Mezzeno con Daniele e domenica sul Menna con Elena, ma penso che è meglio lasciar spazio a parole come quelle che seguono...

dal "Corriere della Sera" del 1 ottobre 2007
Bloccata per giorni sull' Himalaya. «Ora che è in salvo posso ripartire»
La Meroi rinuncia alla vetta per salvare il cuoco nepalese

L' alpinista: sta male, devo portarlo in ospedale. Stop alla scalata
Se avessero proseguito, probabilmente ora sarebbero più vicini a quota 11. Con l' arrivo agli 8.483 metri della cima del Makalu adesso forse mancherebbero soltanto tre vette per terminare l' impresa: salire insieme tutti i 14 «ottomila» della Terra. E per lei, la friulana di origini bergamasche Nives Meroi, un passo in più verso il record personale assoluto, prima donna al mondo ad avere mai raggiunto questo traguardo. Prima delle organizzatissime americane, delle competitive inglesi, delle agguerrite neozelandesi, delle «toste» polacche, delle giapponesi che quanto a determinazione non sono seconde a nessuno. Ma pochi giorni fa Nives e il marito Romano Benet si sono fermati ai 5.650 metri del campo base avanzato del Makalu, il loro undicesimo obiettivo. E ci sono rimasti a lungo, bloccati nelle tendine da alta quota scavate nel ghiaccio, ad attendere l' arrivo dell' elicottero di soccorso. Il motivo? Lo spiega lei stessa nel sito web che cerca di tenere aggiornato via satellitare. Indra Shereshtra, 33 anni, il fedele cuoco nepalese compagno di tante altre spedizioni ai giganti dell' Himalaya, sta male. Il 26 settembre veniva addirittura dato in pericolo di vita. È il classico «mal di montagna», che può colpire tutti. «Potrebbe essere stato colpito da edema celebrale, oppure polmonare, o forse addirittura da entrambi», dicono più in basso, ai 4.750 del campo base principale. Dunque stop all' impresa. Nives e Romano si sono tenuti in contatto via telefono satellitare con Manuel Lugli, medico delle patologie di montagna. Shereshtra è stato stabilizzato con la piccola farmacia che avevano nello zaino. Ma non basta. «Occorre che il malato scenda al più presto a quote basse», ha detto Lugli. Nemico il brutto tempo, per lunghi giorni non è stato possibile neppure pensare di scendere a piedi. Sino a che ieri, Nives annunciava trionfante che il miglioramento delle condizioni meteorologiche aveva permesso l' arrivo dell' elicottero di soccorso: «Stamattina finalmente è arrivato il velivolo da Katmandu. Indra adesso è all' ospedale. Da domani possiamo dare il via alla nostra spedizione», conclude l' alpinista nel comunicato delle due e un quarto pomeridiane. È la vittoria della dimensione umana di questa piccola carovana «famigliare» contro il gigantismo delle spedizioni commerciali. Un problema ben noto, specie negli ultimi anni con l' affollamento ai campi base di cime note come l' Everest o il K2. Due anni or sono fu scandalo quando una quarantina di alpinisti ignorarono l' agonia di David Sharp, un 34enne di Edimburgo colpito da edema sulla via discesa dal «tetto del mondo», lasciato morire in nome della frenesia della vetta. Sarà colpa del fatto che quando spendi 80.000 dollari per un' impresa, poi sei poco disposto a rinunciarvi. Oppure colpa delle bombole ad ossigeno, sempre più di voga tra i «consumisti» di «ottomila», che ti facilitano l' ascesa ma limitano anche il tempo di permanenza in alto. Comunque Nives e Romano queste logiche le hanno sempre evitate. «Nives è una donna concreta, con un forte senso morale della montagna, tanto forte che può aiutarla a superare eventuali carenze tecniche - dice Agostino da Polenza, noto capospedizione -. Lei, 46enne e lui quasi coetaneo, stanno assieme da una vita, si conoscono bene, rappresentano un team perfetto. Insieme hanno deciso di non usare le bombole ad ossigeno e neppure portatori d' alta quota semplicemente perché sanno che in alto ci si può andare con le proprie forze. E sanno anche rinunciare. Al K2 sono tornati indietro perché c' era troppa neve sulla nord nell' estate 2004. Ma ci sono riusciti per la via dello Sperone degli Abruzzi poco dopo». Una coppia armonica. Tornati a casa, lui si richiuderà nel lavoro solitario di guardia forestale. Nives avrà invece il compito di contattare gli sponsor, scrivere articoli, preparare il budget per il loro prossimo ottomila in stile artigianale.
Cremonesi Lorenzo


DHAULAGIRI (8.167 mt) – MAGGIO 2005
NIVES MEROI PORTA SULLA VETTA LA BANDIERA DELLA TAU (comunità dei bambini di Arcene - BG)

1 ottobre, 2007 - Corriere della Sera
ERRI DE LUCA
Un gesto raro. I suoi colleghi non si fermano
Erri De Luca, lei conosce bene Nives Meroi, l'ha seguita in alcune spedizioni e ha poi scritto il libro «Sulla traccia di Nives».
Cosa pensa delle notizie che vengono dal Nepal?
«Che lei e suo marito Romano hanno fatto una cosa normale, per loro intendo. In linea con il loro modo di essere».
Fermare la spedizione, è una rarità nel mondo dell' alpinismo?
«Per Nives ogni componente della spedizione è un compagno inseparabile, uno per cui fare qualsiasi cosa. E questo vale per un compagno di cordata come per il cuoco».
Quindi non è sorpreso.
«Assolutamente no. E sono contento di poterlo sottolineare, perché in queste spedizioni solitamente non ci si ferma non dico se qualcuno sta male, ma neppure se c' è uno che muore».
È successo?
«Certo, e ne sono stati testimoni proprio Nives e Romano. Quest' anno, in discesa dall' Everest, hanno trovato il cadavere congelato di un portatore. Quell' uomo era morto in alta quota e l' avevano lasciato lì».
Ripartirà con Nives Meroi?
«Certamente. In aprile sull' Annapurna, in Nepal».
Bufi Fulvio

lunedì 5 novembre 2007

5 novembre!

Stavolta tocca a te ricevere 'montagne' di auguri, Dario...
Buon compleanno, socio!!!

venerdì 26 ottobre 2007

Metti una domenica d'autunno a 3000 metri...

domenica 21 ottobre 2007

A voler ben vedere, il giro di oggi è nato tre settimane fa.
Per la precisione, il 30 settembre.
Alle nove e mezza del mattino, a Saas Fee, quando nel parcheggione siderale, alzando lo sguardo, al posto dell’Allalinhorn c’era un nuvolone bello compatto.
Fu così che decidemmo di rinviare la salita al nostro primo 4000, per compierla in una giornata migliore, pensando a metà o fine ottobre; fu così anche che la nostra giornata finì al rifugio di Giorgio all’Alpe Parpinasca con le gambe sotto al tavolo, i bicchieri pieni il giusto e le forchette ben piantate nel ben di dio che Aurora ci aveva preparato, a farci quattro risate di gusto in bella compagnia…

Fatta questa premessa, doverosa per chi quel giorno non era con noi (ed immagino quanto avrà capito dei deliri fascio-stalinisti di Paolo prima e Dario poi…), veniamo al dunque.
Alla fine, anche stavolta il 4000 è saltato, ma Andrea ed io avevamo deciso di fare un bel giro comunque, viste le previsioni meteo ottimistiche. E così, dalla quota preventivata abbiamo deciso di togliere “solo” mille metri.
La meta stabilita è stata il rifugio Mezzalama, alla testata della Val d’Ayas.

Allora, eccoci poco prima delle nove a Saint Jacques coperti non poco per via del “freschino” che ci accoglie; ed eccoci una quarantina di minuti più tardi al Pian di Verra Inferiore, fuori dal primo ripido tratto nel bel bosco di larici con il loro autunnale color giallo-ocra.
La testata della valle ci si mostra ora in tutta la sua maestosità, con il bianco dei ghiacciai che scendono dalle vette del Rosa davanti a noi, si riconoscono i Breithorn, il Roccia Nera, e poi Polluce e Castore. A sinistra abbiamo la bastionata scura della Rocca di Verra, mentre quasi alle nostre spalle, verso sud ovest spicca la sagoma appuntita del Grand Tournalin.
Ci dirigiamo ora verso il Pian di Verra Superiore lungo la strada sterrata un po’ noiosetta, tagliando qua e là, dove possibile, qualche tornante per accorciare il percorso. Ad un certo punto la strada spiana e ci troviamo in un bel valloncello, con il torrente semi-ghiacciato che scorre placidamente a pochi passi da noi.
Siamo ormai in vista delle baite del Piano, quando un cartello ci indica sulla sinistra il sentiero per il rifugio.
Ora il sentiero è di nuovo stretto e ripido, e con una serie di tornanti ci porta sul filo della morena. Dopo una pausa durante la quale scattiamo qualche migliaio di foto (il panorama è selvaggio e meraviglioso, siamo circondati da rocce e ghiaccio dappertutto, con la lingua grigiastra del Ghiacciaio di Verra che termina proprio qua sotto, mentre sulla destra compare un bel laghetto glaciale), riprendiamo a seguire la sottile traccia che risale la morena tenendosene ora sempre sul bordo, con il rifugio a guardarci dall’alto con le sue pareti di legno scuro e le imposte rosse.
Vuoi per la quota, vuoi per il dislivello già nelle gambe, vuoi per la salita che ora è bella in piedi, ma il nostro passo rallenta, mentre altri escursionisti via via ci passano davanti. Gli ultimi centocinquanta metri di dislivello li percorriamo ad andatura turistica (Bicio direbbe a passo Len.In., che non c'entra nulla con la politica, ma che sta per “LENto ed INesorabile”), fino ad arrivare al rifugio.
La porta d’ingresso ed una finestra sono aperte, ed è una fortuna (o così sembra), perché qua fuori non è che ci sia esattamente una temperatura tropicale…
Entriamo, e si congela!!! Mooolto peggio che fuori!
Nella penombra della sala incontriamo un paio di ragazzi che ci avevano sorpassato prima, loro hanno ormai finito i loro panini e stanno per uscire per non restare ibernati… io frugo nella credenza alla ricerca di pentolame e di un fornelletto a gas, poi tiro fuori dallo zaino una bella busta di pizzoccheri… qualcosa di caldo ci vuole! E poi, bisogna pur festeggiare il battesimo dei 3000 metri di Andrea… Proviamo ad offrire una porzione di pizzoccheri ai due, che però sono decisi a proseguire verso il rifugio delle Guide d’Ayas, che domina il Mezzalama dall’alto dello sperone roccioso cui è attaccato.
Dopo aver salutato i due ci dedichiamo al pranzo, dopodiché usciamo a scattare qualche foto al meraviglioso panorama, che ora è anche illuminato dal sole pieno. Nel mentre, si sente un boato provenire dal vicino ghiacciaio, ed una nuvola bianca compare lì dove un seracco è appena crollato… impressionante, come impressionante è lo stato dei ghiacciai… vedere di quanti metri s’innalza la morena rispetto al livello attuale della lingua di ghiaccio, e rendersi conto che lì dove abbiamo posato i piedi una volta – e neanche troppo tempo fa – era tutto ghiaccio, in effetti fa riflettere…

Come sempre, la voglia di andarsene da un altro posto fantastico rasenta lo zero, ma tocca…
La discesa si svolgerà in tutta tranquillità e lentezza e chiacchierando piacevolmente, per poterci ancora riempire gli occhi di tanto splendore, d’altra parte non c’è nessuna fretta.
All’imbrunire siamo di nuovo a Saint Jacques per una birra, e ritroviamo i due ragazzi di ritorno dal Guide, che per un centinaio di metri non hanno raggiunto; ci chiedono se sappiamo quanti gradi c’erano su al Mezzalama, loro lo sanno: diciotto sottozero…
Lo dicevo io, che non era caldissimo… ma in fondo ad una giornata così, del freddo non me ne pò fregà de meno!!!

venerdì 19 ottobre 2007

Quando la montagna non ti vuole...

domenica 14 ottobre 2007

Un’altra volta.
Non ci credo, m’hai fregato un’altra volta…
Passi per le piovose estati orobiche, quando piove ognuno si fa i fatti propri, si sa.
Passi per quando dovevo venirti a trovare con Bicio, per te avevo provato anche a prendere delle ferie fuori stagione, ma il capo non me l’aveva permesso.
Ma stavolta ogni tassello sembrava incastrarsi là dove serviva, e pensavo che sarei finalmente riuscito ad averti tutta per me.
O, se non proprio tutta, mi bastava almeno averti.
Stavolta avevo studiato il tuo carattere, sapevo che sulle prime ti saresti timidamente nascosta, perché in fondo penso tu sia timida, è per questo che tanti ti cercano.
Però sapevo anche che se non mi fossi dato per vinto, prima o poi avresti scostato dolcemente le tendine dietro cui ti eri rifugiata, e ti saresti alla fine decisa ad accogliermi, forse avresti anche indossato il vestito buono, per me.
Certo ti saresti fatta desiderare, ma ero pronto a dar fondo alle mie risorse, pur di averti… dicono che una conquista abbia un sapore più dolce e valga di più, se costa fatica. Si vede che la mia fatica non era abbastanza, per te.
Ho provato a scavalcare le nuvole, per poterti conoscere… vuol dire che dovrò fare ancora di più.

Ma c’è una cosa che voglio tu sappia.
Non finisce qui.
Non fare quella faccia, adesso, non è una minaccia la mia, è una promessa, a te ma soprattutto a me stesso. Sappi che non ce l’ho con te, anzi.
Penserai che io sia deluso, tutt’altro. Sono felice di averti anche solo intravista, ti sono grato per avermi lasciato accarezzare i tuoi fianchi sinuosi, per avermi degnato anche di un solo, lontano sguardo dall’alto della tua indifferenza, e di avermi dato modo di ammirare un piccolo pezzettino del mondo meraviglioso che ti circonda…
E so anche che un giorno sarai tu a cedere, è solo questione di tempo e di portar pazienza. Non sei cattiva, lo so, è che forse anche tu hai bisogno di conoscermi un po’ meglio…

Per ora, farò finta di non aver camminato per ore in mezzo alla nebbia, di non aver risalito quasi senza vederlo un paradiso che chiamano valle d’inferno, di non essermi seduto a riposare sulla soglia di baite strane con un masso per tetto, di non aver visto gente regalarti la sua colazione, per poi cercare di oltrepassare il limite ed infine arrendersi quando proprio non ce n’era più…
Farò finta di niente, perché almeno stavolta ho potuto godere dell’eleganza del tuo profilo, mi hai svelato qualcuno dei tuoi segreti, e son sicuro tu sia stata sincera.

Sono qui ora, e per un po’ ti lascerò in pace, ci sono tanti altri posti da vedere e cose belle da fare.
Ti lascio stare per un po’, però porto via con me il ricordo delle mille calde sfumature di colore del tuo vestito d’autunno, del blu del tuo cielo e della meraviglia di una coperta grigia di nuvole a nascondere il grigio più smorto della quotidianità.

Anche stavolta m’hai fregato, ma non la prendo come uno sgarbo. Una burla, tutt’al più.
Tanto, prima o poi tornerò ad importunarti, tranquilla…

Solo una cosa mi chiedo: sei una splendida montagna, e per me sei come una bellissima donna. Come mai allora ti hanno dato un nome maschile: Pizzo dei Tre Signori?!?

lunedì 15 ottobre 2007

E' passato solo un mese...

Con questo post, "I VagaMonti!" aderisce a Blog Action Day 2007

7 settembre 2007

Mi trovo sulle Dolomiti. E’ il terzo di quattro giorni di trek presso le Tre Cime di Lavaredo, con Fabrizio e gli amici di Zaino In Spalla (che ho descritto ampiamente in un post precedente).

La tappa di oggi prevede un lungo sentiero ad anello, prima in discesa dal Rifugio Locatelli, nostro “campo-base”, fino in Val Fiscalina e ritorno.

Lungo il giro, ci accompagna la vista delle torri dolomitiche e, tra le altre, Cima Una.


12 ottobre 2007

Ore 9 del mattino. Un costone di roccia di 100 metri si stacca dalla torre di Cima Una, franando a valle e ricoprendo tutto di polvere di calcare. Fortuna ha voluto che non ci fossero vittime, ma ormai la cima è sfigurata per sempre.

A me resta una sensazione difficile da definire, perché realizzo che solo un mese fa era tutto diverso, e mi chiedo quale combinazione (io la definisco così, ognuno ci metta il termine che riterrà più opportuno) ha voluto concedermi la fortuna di vedere le Dolomiti ancora intatte.

Viene voglia di tornarci, per poter “toccare con mano” la differenza, e prima o poi lo farò.

Ma dovrò prima abituarmi all’idea, perchè è pazzesco pensare che un cambiamento così radicale possa avvenire così di botto.

Viene naturale voler ricondurre questi fatti al dibattito sulla salvaguardia dell’ambiente. Certo, uno pensa: “Come facevi a fermare 60 mila metri cubi di roccia? Con le mani?”

Ovviamente no.

Ma un buon inizio sarebbe recuperare quel rispetto per le montagne che si va perdendo, fin dalle cose più banali.

Perché se riesci a non buttare una cartina (per esempio) di caramella lungo il sentiero, allora forse riesci anche a non buttare una bottiglietta di plastica. E a non buttare un sacchetto. E a lasciare i fiori dove stanno. E a non disturbare gli animali. E a non dar loro la caccia. E a non accendere fuochi.

E così via, e così via…

Vale la pena pensarci.

sabato 13 ottobre 2007

non sarà tempo perso...

ho appena acceso il pc e ho trovato questa bellissima mail...
l'ha spedita Diego... anche Bruno l'ha spedita ai nostri amici...
la posto qui sotto per tutti...

" Ad una cena di beneficenza per una scuola che cura bambini con
problemi di apprendimento, il padre di uno degli studenti fece un
discorso che non sarebbe mai più stato dimenticato da nessuno dei
presenti. Dopo aver lodato la scuola ed il suo eccellente staff, egli
pose una domanda:
"Quando non viene raggiunta da interferenze esterne, la natura fa il
suo lavoro con perfezione. Purtroppo mio figlio Shay non può imparare
le cose nel modo in cui lo fanno gli altri bambini. Non può
comprendere profondamente le cose come gli altri. Dov'è il naturale
ordine delle cose quando si tratta di mio figlio?"
l pubblico alla domanda si fece silenzioso.
Il padre continuò: "Penso che quando viene al mondo un bambino come
Shay, handicappato fisicamente e mentalmente, si presenta la grande
opportunità di realizzare la natura umana e avviene nel modo in cui le
altre persone trattano quel bambino."
A quel punto cominciò a narrare una storia:
Shay e suo padre passeggiavano nei pressi di un parco dove Shay sapeva
che c'erano bambini che giocavano a baseball. Shay chiese: "Pensi che
quei ragazzi mi faranno giocare?" Il padre di Shay sapeva che la
maggior parte di loro non avrebbe voluto in squadra un giocatore come
Shay, ma sapeva anche che se gli fosse stato permesso di giocare,
questo avrebbe dato a suo figlio la speranza di poter essere accettato
dagli altri a discapito del suo handicap, cosa di cui Shay aveva
immensamente bisogno. Il padre si Shay si avvicinò ad uno dei ragazzi
sul campo e chiese (non aspettandosi molto) se suo figlio potesse
giocare. Il ragazzo si guardò intorno in cerca di consenso e disse:
"Stiamo perdendo di sei punti e il gioco è all'ottavo inning. Penso
che possa entrare nella squadra: lo faremo entrare nel nono"
Shay entrò nella panchina della squadra e con un sorriso enorme, si
mise su la maglia del team.
Il padre guardò la scena con le lacrime agli occhi e con un senso di
calore nel petto.
I ragazzi videro la gioia del padre all'idea che il figlio fosse
accettato dagli altri.
Alla fine dell'ottavo inning, la squadra di Shay prese alcuni punti ma
era sempre indietro di tre punti. All'inizio del nono inning Shay
indossò il guanto ed entrò in campo. Anche se nessun tiro arrivò nella
sua direzione, lui era in estasi solo all'idea di giocare in un campo
da baseball e con un enorme sorriso che andava da orecchio ad orecchio
salutava suo padre sugli spalti. Alla fine del nono inning la squadra
di Shay segnò un nuovo punto: ora, con due out e le basi cariche si
poteva anche pensare di vincere e Shay era incaricato di essere il
prossimo alla battuta. A questo punto, avrebbero lasciato battere Shay
anche se significava perdere la partita? Incredibilmente lo lasciarono
battere. Tutti sapevano che era una cosa impossibile per Shay che non
sapeva nemmeno tenere in mano la mazza, tantomeno colpire una palla.
In ogni caso, come Shay si mise alla battuta, il lanciatore, capendo
che la squadra stava rinunciando alla vittoria in cambio di quell
magico momento per Shay, si avvicinò di qualche passo e tirò la palla
così piano e mirando perché Shay potesse prenderla con la mazza. Il
primo tirò arrivò a destinazione e Shay dondolò goffamente mancando la
palla.
Di nuovo il tiratore si avvicinò di qualche passo per tirare
dolcemente la palla a Shay. Come il tiro lo raggiunse Shay dondolò e
questa volta colpì la palla che ritornò lentamente verso il tiratore.
Ma il gioco non era ancora finito. A quel punto il battitore andò a
raccogliere la palla:
avrebbe potuto darla all' uomo in prima base e Shay sarebbe stato
eliminato e la partita sarebbe finita. Invece... Il tiratore lancio la
palla di molto oltre l'uomo in prima base e in modo che nessun altro
della squadra potesse raccoglierla. Tutti dagli spalti e tutti i
componenti delle due squadre incominciarono a
gridare: "Shay corri in prima base! Corri in prima base!" Mai Shay in
tutta la sua vita aveva corso così lontano, ma lo fece e così
raggiunse la prima base. Raggiunse la prima base con occhi spalancati
dall'emozione. A quel punto tutti urlarono:" Corri fino alla seconda
base!" Prendendo fiato Shay corse fino alla seconda trafelato. Nel
momento in cui Shay arrivò alla seconda base la squadra avversaria aveva
ormai recuperato la palla..
Il ragazzo più piccolo di età che aveva ripreso la palla quindi sapeva
di poter vincere e diventare l'eroe della partita, avrebbe potuto
tirare la palla all'uomo in seconda base ma fece come il tiratore
prima di lui, la lanciò intenzionalmente molto oltre l'uomo in terza
base e in modo che nessun altro della squadra potesse raccoglierla.
Tutti urlavano: "Bravo Shay, vai così! Ora corri!" Shay raggiunse la
terza base perché un ragazzo del team avversario lo raggiunse e lo
aiutò girandolo nella direzione giusta. Nel momento in cui Shay
raggiunse la terza base tutti urlavano di gioia. A quel punto tutti
gridarono:" Corri in prima, torna in base!!!!" E così fece: da solo
tornò in prima base, dove tutti lo sollevarono in aria e ne fecero l'eroe
della partita.
"Quel giorno" disse il padre piangendo "i ragazzi di entrambe le
squadre hanno aiutato a portare in questo mondo un grande dono di vero
amore ed umanità".
Shay non è vissuto fino all'estate successiva. E' morto l'inverno dopo
ma non si è mai più dimenticato di essere l'eroe della partita e di
aver reso orgoglioso e felice suo padre..non dimenticòmai l'abbraccio
di sua madre quando tornato a casa le raccontò di aver giocato e
vinto.
ED ORA UNA PICCOLA NOTA AL FONDO DI QUESTA STORIA:
In internet ci scambiamo un sacco di giochi e mail scherzose senza che
queste ci facciano riflettere, ma quando si tratta di diffondere mail
sulle scelte della vita noi esitiamo. Il crudo, il volgare e l'osceno
passano liberamente nel cyber spazio, ma le discussioni pubbliche
sulla decenza sono troppo spesso soppresse nella nostre scuole e nei
luoghi di lavoro.
Se stai pensando di forwardare questo messaggio, c'è probabilità che
sfoglierai i tuoi contatti di rubrica scegliendo le persone
"appropriate" o "inappropriate" a ricevere questo messaggio.
Bene: la persona che ti ha mandato questa e-mail pensa che TUTTI NOI
POSSIAMO FARE LA DIFFERENZA.
Tutti noi abbiamo migliaia di opportunità, ogni giorno, di aiutare il
"naturale corso delle cose" a realizzarsi.
Ogni interazione tra persone, anche la più inaspettata, ci offre una
opportunità: passiamo una calda scintilla di amore e umanità o
rinunciamo a questa opportunità e lasciamo il mondo un po' più freddo?
Un uomo saggio una volta disse che ogni società è giudicata in base a
come tratta soprattutto i meno fortunati.
Ora tu hai 2 scelte:
1.cancellare
2.inoltrare
Possa questo giorno essere un giorno luminoso."

un abbraccio...
andrea

p.s. Grazie a chiunque abbia fatto partire questo bellissimo messaggio...

lunedì 8 ottobre 2007

Allalinhorn: con la voce del popolo tuona la verità!

Eroi.

Quale altro nome potremo mai dare a questi campioni, degni figli della patria proletaria i quali, fedeli alla linea dei Grandi Maestri, hanno osato voler piegare la vetta dell'Allalinhorn?

A lungo hanno provato, ed ancora proveranno, le voci minoritarie e mensceviche o (peggio ancora!) nere e reazionarie, a distorcere la verità, a gettare un'ombra malvagia su ciò che definitivamente accadde.
Ma la voce del popolo, che mai si può fermare, tuona a rossi caratteri cubitali i nomi degli eroi, e possa il fuoco delle acciaierie del Soviet scolpirli nelle vostre menti, o giovani bugik che qui leggerete...

Tutto era iniziato sotto i migliori auspici: con l'appoggio tecnico-logistico dei compagni del Collettivo "Primo Maggio" (e gli auspici dei ragazzi del Presidium, tra un giro di vodka e l'altro), la spedizione partiva verso le vette svizzere da una Piazza Rossa gremita, dove il popolo lavoratore spontaneamente riunito la salutava in festa:


Ma già nubi maligne, non a caso nere, si addensavano nel cielo, facendo presagire tempo avverso. E non era tutto: un membro della spedizione veniva bloccato sulle Strade a Grande Scorrimento, senza possibilità di uscita.
Un'oscuro disegno reazionario? Un bieco trucco di quell'opposizione atlantica che tutti ben conosciamo? Quasi certamente.
Ma non si tratta che di un minuscolo granello nel roboante meccanismo di quella Gioiosa Macchina Da Guerra, che ormai da più un secolo nessuno ha saputo fermare.
Alfine il gruppo si componeva e, inesorabile come un Piano Quinquennale, volgeva alla volta del punto d'incontro con la guida, onde partire...

Il sole, conscio dell'altissimo valore storico e del contributo alla rivoluzione proletaria propri di quest'alta impresa, faceva capolino lungo le strade d'oltre confine. Ma gli agguati squadristi non erano ancora terminati.

Giunti al campo-base... La beffa delle beffe: Il sole splende. Tutte le cime sono baciate dal cielo limpido.
Meno la loro, ancora e sempre coperta dalle nubi. E i nostri sono costretti a deporre le pacifiche armi proprie di quell'Armata Rossa delle montagne che ormai sono diventati nei cuori di tutti noi.

Molto ha potuto il comunque meritato ristoro che li ha accolti lungo la via del ritorno, ma l'animo era inquieto: poteva dunque un semplice rovescio del tempo fermarli? Dovevano dunque arrendersi?

Mai. Il destino, per quanto avverso, non li ha vinti: già si odono gli echi dei ramponi e delle corde lasciati improvvidamente a riposo... Presto o tardi, la cima sarà conquistata, il popolo proletario la reclama!

E loro la conquisteranno...

lunedì 1 ottobre 2007

Addì 30 Settembre 1927, la gloriosa conquista dell'Allalinhorn!

Questo resoconto è stato ciclostilato per rendere lustro e giusto tributo alle azioni valorose di un manipolo di eroi che, con sprezzo del pericolo e audacia fuor di pari, scolpirono nel granito della storia questa eroica impresa!

L'importantissima e segreta missione iniziò con ritrovo nel cuore della notte alla periferia della città di Milano dove, muniti di autoveicoli di chiara marca italica ci riunimmo in gran segreto e ci apprestammo a iniziare il viaggio verso la frontiera elvetica.

L'attesa si protrasse oltre le previsioni a causa di un manipolo di dissidenti che cercò senza successo di impedire l'arrivo della vettura proveniente dalla Bergamasca.
Scampato il tranello nemico, ci immettemmo sulla regia strada dei laghi in direzione Val D'Ossola stemperando l'attesa con canti scollacciati e volgari!










Il nostro valoroso ufficiale di coordinamento Bruno Cunigo
per tranne in inganno il nemico e farsi testè beffe di lui, si raccomandò di farsi chiamare Kunig, ci spiegò in gran segreto che, in quel di Val D'Ossola, avremmo dovuto incontrare la nostra guida, nome in codice Giorgioh, che avrebbe dovuto farci lumi nella via alpinistica che porta all'Allalinhorn. Il tutto sarebbe dovuto avvenire con fulminea prontezza e nervi d'acciao. Battendo prontamente il nemico sul tempo e lasciando la spedizione avversaria svizzera con un pugno di mosche!










Le nostre possenti vetture italiche ci portarono all'appuntamento spaccando il minuto di netto in due. Imbarcammo senza esitazione la nostra guida Giorgioh e nel cuore della notte sfrecciammo senza esitazione oltre gli italici confini nella terra nota per gli orologi, il cioccolato e la chiara origine non romana!











Finalmente giunti nel paese di "Saas Fee" che venne prontamente ribattezzato in "Sasso Littorio" scalpitando già nell'azione ci approntammo ad affrontare la missione ma, proprio durante i preparativi, venimmo intercettati da donne con fare lascivo al di fuori di locali equivoci che vendevano a modica cifra le loro virtù contanto poi di truffare col cambio sul franco! Non volendo a nessun costo far rese alla nostra virilità stavamo quasi cadendo nel tranello quando prontamente intervenne Kunig al grido di "DAS NIE SEIN EIN TETTA!"
Fummo prontamente scossi dalle loro malizie dal Kunig il quale, distogliendo il loro abbigliamento discinto, mise in mostra il posticcio simulacro atto ad allattare e, venendo sì prontamente scoperti nelle loro manovre di depistaggio, i nemici in sì modo camuffati si allontanarono nello sfottè generale!



Scampato il pericolo la squadra si preparò con tutto l'equipaggiamento più moderno forgiato appositamente nelle italiche fabbriche con la robustazza dell'acciaio, la leggerezza della piuma e l'ingegno romano!







Ma proprio nel mentre che il Kunig dava l'avvio alla squadra risuonò come una cannonata alle spalle
l'"ALT" della nostra guida Giorgioh!


Nubi dense e ostili infatti stazionavano malignamente sulla vetta da raggiungere facendo proferire alla nostra guida parole di sconforto e abbandono.

Il morale stava alle caviglie quando ancora una volta il Kunig prontamente intervenne a risolvere la situazione.

"ME NE FREGO!" disse e alle sue parole d'acciaio il gruppo lo seguì nell'entusiasmo, canzonando bonariamente le parole codarde del Giorgioh!













Qui finisce la prima parte del ciclostilato proveniente da terra straniera giunto a sacrifizio della vita a imperitura memoria della gloriosa missione che portò le italiche prodezze ai 4.000 metri elvetici!

sabato 22 settembre 2007

In cima alla Grignetta

Ovvero: come salire per un sentiero credendo di trovarsi da tutt’altra parte… E scoprire che quello sbagliato era meglio!

Quando, negli ultimi mesi, si doveva decidere col Brunig un giro da fare, magari anche all’ultimo momento, lui spesso tirava fuori un suo classico: “Andiamo sulla Grigna?”. Oppure una variazione sul tema: “…E la Grignetta?”. Alla fine ho ceduto alle sue insistenze, anche perché l’idea di salire in cima alle “Dolomiti di Lombardia” l’ho sempre cullata anch’io…

…Ed ecco come, in un frizzante sabato mattina, io ed il suddetto Brunig ci siamo ritrovati a Pian Dei Resinelli insieme a Diego ed Elena, per dare l’assalto alla Grigna Meridionale. Non prima, però, di aver ceduto alle lusinghe e soprattutto ai profumi del vicino bar-panetteria per il classico caffè+brioche (viva la nutella!).

Prudenza ci invita, per questa prima ascesa, ad affrontare la salita passando per la Cresta Cermenati, la via più facile, non a caso indicata come semplice “escursionistica”.

Iniziando il sentiero, notiamo le prime paline che, fra le altre vie, indicano la strada per la “Direttissima”. Pur se la tentazione è forte, restiamo sulla strada già decisa. Ma la prossima volta…

La prima parte del sentiero è morbida e facile, e ci permette ampie soste-foto. La foschia del mattino genera un bell’effetto sulle montagne in lontananza. Il risultato lo vedete qui sotto, a scopo desktop…

Continuando la salita, ecco il primo momento topico della giornata: una coppia di camosci, adulto e cucciolo, che salgono sulla cresta alla nostra sinistra. Decido di mettere alla prova la mia “compatta-digitale-mascherata-da-qualcosa-di-più” e tento di immortalarli nonostante la distanza notevole. Riesco a centrarli in cima alla cresta. Avendo dovuto pompare lo zoom digitale al massimo, la foto risulta un po’ sgranata, ma il risultato mi sembra più che soddisfacente. A voi giudicare.

Dopo la prima ora di cammino, il sentiero spiana di colpo, e ci porta sempre più a ridosso delle pareti di roccia: cominciamo ad intravedere i primi scalatori all’opera…

Il gioco comincia a farsi un po’ più duro: ben presto diventa necessario riporre le bacchette e impegnare anche le mani sulla roccia per issarci nei punti più difficoltosi. Ed è a questo punto che comincia a sorgere, in noi, il LEGGERISSIMO sospetto di avere sbagliato strada: come fa una semplice escursionistica a salire con una verticalità da “escursionisti esperti”? La riflessione continua, ma la realtà è che ci stiamo divertendo un mondo, e continuiamo a salire.

Vedendo arrivare un altro gruppo di ragazzi, rompiamo gli indugi e rivolgiamo la fatidica domanda: “Scusate, è questa la Cresta Cermenati?” Risposta: “No, questo è il Canalone Porta…”

Perfetto.

Stiamo salendo da tutt’altra parte rispetto a quello che ci eravamo prefissati. Dopo una breve verifica scopriamo di dover tornare indietro ad un bivio che, evidentemente, ci eravamo lasciati scappare, per recuperare il sentiero maestro. Bivio che, naturalmente, risulta PERFETTAMENTE evidente non appena vi torniamo…

All’attacco della Cresta (quella vera), incrociamo un signore in discesa dalla cima il quale, a nostra richiesta sulle condizioni del sentiero, risponde: “Il sentiero è facile, in un’oretta si sale, ma è una pizza mostruosa…”.

In effetti, scopriamo ben presto che il Canalone Porta era molto più divertente, anche perché, per via del ritardo, ora camminiamo sotto il sole a martello di mezzogiorno. Ed infatti, esaurisco presto le mie scorte d’acqua e mi ritrovo con la lingua felpata…

Verso l’una arriviamo in vetta, e ci piazziamo presso il Bivacco Ferrario… Chiedendoci se non ci si debba aspettare di vederlo prima o poi decollare come uno Sputnik. La foto spiega tutto!

A questo punto possiamo pranzare con tutta calma. Unico diversivo i gracchi che amabilmente svolazzano sopra le nostre teste, tra cui alcuni abbastanza temerari (e scafati) da posarsi vicino a noi, in attesa di ottenere uno spuntino di straforo. Inquadratura premio al più coraggioso!

Dopo un momento di legittimo svacco, anche in contemplazione del Grignone e del Rifugio Brioschi in lontananza, decidiamo di scendere. E qui la Cresta conferma tutta la “pizzosità” dell’andata: non finiva mai!

All’arrivo, davanti a un ben meritato trancio di pizza, maturiamo due decisioni:

1) Al prossimo giro finiremo il Canalone Porta lasciato a metà;

2) e comunque la Direttissima non ci sfuggirà! Prima o poi…

giovedì 20 settembre 2007

Sentiero ROMA... un sogno realizzato!

Trekking sul granito della Val Masino
(il più bello dei miei ultimi 10 anni!)

Lunedì 10 settembre
Ore 4.00… dal mio lettino, dove non riesco a chiudere occhio, mica ti vedo un lampo?! …subito seguito da alcuni tuoni in lontananza… "ma dai, con tutte le previsioni meteo che mi son visto, mai una che c’azzecca!"
Ore 5.40: mi alzo un po’ dubbioso, guardo il cielo… tutte nuvole… "Vabbé, ormai siamo in ballo, balliamo!" Zaino già pronto, carico tutto in macchina ed alle 6.30 raggiungo Daniele a S.Giovanni Bianco, che i tuoni non li ha nemmeno sentiti… ed il cielo va rasserenandosi… Via, si parte verso un’avventura tanto pensata e desiderata!
Dopo non poca strada, salite e discese ed ancora salite, eccoci poco sopra Filolera Val Masino, dove lascio la mia 206, poi salto sulla Meriva di Daniele fino alle terme di Bagni Masino.
Questo posto l’ho già visto un anno esatto fa con Elena, Bruno ed Andrea, questa volta l’itinerario è però un po’ diverso: non saliamo direttamente al rif. Gianetti, nostra prima meta, ma ci facciamo un bel giro in Val dell’Oro, che già vediamo illuminata dal sole a nord ovest e dove spicca la sagoma della Sfinge, passando dal rif. Omio, scavalcando poi il Passo del Barbacan sud-est per entrare nella magnifica Val Porcellizzo, sotto montagne quali Badile e Cengalo… Questa variante è indicata anche nella guida che nei giorni precedenti abbiamo studiato, la quale permette di evitare la partenza dalla Val Codera (rif. Brasca) e non lasciare così le nostre macchine in punti troppo distanti l’una dall’altra… ma andiamo con ordine!
Già dai primi passi capiamo che siamo in un vero paradiso di escursionisti ed alpinisti: nell’abetaia che risaliamo tra stretti tornanti, festosi scoiattoli si rincorrono sui rami e dopo solo mezz’oretta, ecco aprirsi già il sipario su quelle vette tanto famose… Badile e Cengalo, attorniati dalla Punta S. Anna e dal Pizzo Porcellizzo, si stagliano su un cielo turchese! Il sentiero piega però a sinistra e ci inerpichiamo sotto pareti che iniziamo ad apprezzare di puro granito (questo minerale ci farà compagnia per un bel po’…!)
Quando usciamo dallo stupendo bosco d’abeti, il sole è già alto e bello caldo, il rifugio Omio è ormai in vista, ma Daniele accusa i miei stessi problemi di digestione sperimentati ad inizio agosto sul Pegherolo… Raggiungere il primo rifugio diventa così già un’impresa, ma grazie ad un buon the caldo preparato dal solitario rifugista (NDR: mamma mia che solitudine deve vivere il gestore dell’Omio… non passa un’anima in questo periodo!) il malanno sembra superato.
Iniziamo così a salire sul serio, sotto un sole sempre più bruciante. Le catene fisse che agevolano la salita al Passo di Barbacan Sud-est sono facili, ma la pendenza non scherza, così tra un “tiro” e l’altro possiamo pure apprezzare l’ascensione alla Punta Milano, poco distante, di alcuni scalatori. Quando raggiungo il passo, è ormai la una del pomeriggio: estraggo avidamente dallo zaino pane e prosciutto acquistati a Morbegno, e dopo aver preparato il pranzo per me e Daniele, mentre lo aspetto, fotografo senza sosta da nord a sud, da est a ovest… Il Pizzo Ligoncio e la sagoma della Sfinge che sovrastano la Val dell’oro ad ovest, a nord est le rocce del Barbacan che come delle quinte di pietra svelano e nascondono quel monolite di granito del Badile, sotto il quale già si scorge la Gianetti.
Trangugiato il nostro pasto, ci abbassiamo sempre con l’aiuto provvidenziale delle catene fisse dal passo, e mettiamo così piede nella maestosa e meravigliosa Val Porcellizzo. Daniele fa scorta d’acqua, che non manca certo, mentre io continuo a “sparare” foto a raffica. In breve eccoci alla nostra prima tappa, a quota 2.534 mt: manca poco alle 15.00 ed alcuni muratori lavorano rumorosamente al nuovo ingresso del rifugio, rovinando un po’ la magica atmosfera del posto… ma non si può avere tutto, anzi, tanto di cappello a questi uomini che lavorano in un ambiente non proprio confortevole!
Preso “possesso” della camera nel rifugio, tra un bagno dell’ultimo sole e qualche balzo sugli enormi blocchi di granito sotto le vette, tiriamo l’ora di cena, servita dal rifugista “barba” (Andrea se lo ricorda di certo…!) verso le 19.00.
La stanchezza non è poca, ed infatti dopo cena Daniele è già raggomitolato nelle coperte. Io lo imito poco dopo, non prima di aver immortalato le tenebre che scendono sulle cime e la valle, assieme a qualche nuvola proveniente dal versante svizzero.

Martedì 10 settembre
… il termometro segna – 1°… il barometro una pressione in discesa… dalla Svizzera giungono nuvole minacciose… “STAI SERENO!!!”
Ti pareva che il mio socio non me la menava ancora con il suo solito motto!?!
Scendiamo in sala da pranzo e consumiamo una leggera colazione a base di the e fette di pane e marmellata. La sorpresa non molto gradita è il conto… non tanto la mezza pensione, quanto i panini per il giorno… 5 € l’uno??? Per poi scoprire che il pane è pure raffermo… vabbé!
Usciamo dal rifugio, verso le 8, in un aria surreale: il cielo è tagliato di netto in due parti. Da nord le nubi avanzano veloci, ma si infrangono contro un vento proveniente da sud che spazza il cielo meridionale. A differenza del giorno prima, quando le nostre Orobie apparivano immerse nelle nubi, oggi sono completamente sgombre. Seguiamo lentamente il sentiero che, quasi sempre pianeggiante, si avvicina a quello che viene indicato come il punto più difficile dell’intero Sentiero Roma: il Passo di Camerozzo. In effetti, quando ci si avvicina, quella forma ad uncino delle rocce incute un poco di timore… aggiungi poi che a noi ci si presenta nel bel mezzo di una nevicata! Le nuvole, infatti, portano con se del nevischio raccolto molto probabilmente dai versanti settentrionali. Superato il caratteristico bivio per il passo di Bondo (caratteristico perché si trova nei pressi di un grande masso tagliato in due in modo tanto perfetto da sembrare innaturale), il sentiero comincia a salire verso il Camerozzo, dapprima su terreno ghiaioso, poi su bei gradoni di… guarda un po’! granito, per poi lasciar spazio alle catene fisse, rese gelate da una notte di vento. Raggiungere il valico richiede un po’ di sforzo, ma anche soddisfazione. La vista sulla valle del Ferro che si apre è davvero suggestiva, mentre la sagoma del lato ovest del Disgrazia là in fondo rende ancor più selvaggio il panorama. L’occhio corre però immediatamente a verificare la difficoltà della discesa, che all’inizio non sembrerebbe poi tanto accentuata. Visto che il nevischio non accenna a diminuire, senza molti indugi ci caliamo abbastanza rapidamente, ma con molta attenzione, sulle catene ad est del passo.
Dopo i primi passaggi più facili su roccia sana, ecco una diagonale abbastanza impegnativa, superata però senza particolari problemi; segue poi un lungo e più tranquillo perdere di quota su un misto di roccette e magri pascoli impervi, dove però non penso animali domestici abbiamo mai messo… “zampa”. Intanto il sole a fatica cerca di vincere la sua battaglia con le nuvole, regalando qualche attimo di calore in un clima ancora freddino.
Quando, scendendo a marcia indietro, iniziamo ad intravedere la base del passo alla nostra destra, e sembra di esser quasi alla fine della fatica, ecco il tratto più impegnativo: una stretta cengia la quale, in alcuni punti, si riduce ad un intaglio nella parete di granito che precipita a valle. Senza quasi rendermene conto, mi ritrovo con il mio zainone che dondola sopra 150 mt ca. di salto nel vuoto, mentre Daniele, che mi precede nella discesa, un po’ divertito, trova pure il modo di immortalarmi nella mia “perfetta” tecnica di discesa! Paura no, ma dopo più di 20 minuti attaccati ad una catena, le braccia sono un attimo indolenzite, e questo accentua la tensione. Poi finalmente si ricomincia a camminare “da cristiani”: riguardare da dove si è scesi genera un poco di impressione, ma anche di orgoglio… siamo davvero ‘EE’ (Escursionisti Esperti!).
Superiamo a balzi ora decisi, ora un po’ più stanchi, l’ampia Valle del Ferro, caratterizzata da sempre più grossi massi, in direzione del prossimo ostacolo: il Passo Qualido. Lasciato alla nostra destra il Bivacco Molteni-Valsecchi, finalmente il nostro trekking viene confortato dal sole e dal cielo sereno, che hanno orgogliosamente vinto la guerra alle nubi svizzere, sparite dietro i tre Pizzi del Ferro, signori della valle. La salita al nuovo passo è molto più tranquilla della precedente, e lo sarà pure la discesa nella prossima valle, la Val Qualido. Sullo spartiacque ecco apparire tante nuove ed importanti cime: la cima di Zocca, poi la cima di Castello ed i tre pizzi Torrone. Caratteristica è la placca liscia nella costiera orientale, una specie di curva parabolica che declina a valle. Scendiamo sempre con l’aiuto di catene fisse, che come direbbe Daniele, qui sono però più “allegoriche” e “folkloristiche” rispetto a quanto appena affrontato sul Camerozzo.
Quello che notiamo già dal giorno prima è la scarsità di animali selvatici sul percorso (solo qualche marmotta più timida delle nostre bergamasche), così come di turisti; nel senso inverso di percorrenza non incontreremo mai nessuno nei tre giorni, nel nostro senso, invece, sono in marcia quattro tedeschi che mantengono sempre 3 o 4 ore di svantaggio rispetto a noi. Strano davvero, perché gli ambienti son talmente stupendi, sia per i primi che per i secondi!
Nel frattempo è già ora di pranzo. Estraiamo con “devozione” i nostri preziosi panini (un metà finirà scagliata a valle da Daniele, impossibilitato a mangiare tale delizia…!): non possiamo però goderci molto la pausa, in quanto il vento che abbiamo prima ringraziato per aver spazzato il cielo, si è fatto sempre più vigoroso e freddo. Via allora verso l’ultimo valico del giorno: il Passo dell’Averta. Siamo un po’ stanchi, ma scavalchiamo con tenacia le ultime catene, e sopra di noi ecco svettare imponente il duomo di pietra della Cima di Zocca! A destra sfilano la punta Allievi, la cima di Castello, la punta Rasica e più in là, l’uno alle spalle dell’altro, i pizzi Torrone occidentale, centrale ed orientale. La vista di tutti questi 3000 ci fa sentire come piccoli ed insignificanti puntini. Un puntino che ora attira la nostra vista è invece quello del rifugio Allievi-Bonacossa, nostra meta giornaliera. Quando ci sembra di essere alla stessa altezza dello stesso, ecco una sorpresa: uno sperone roccioso un po' esposto su entrambi i lati, superabile con l’aiuto di corde fisse, che ci fa scendere di non pochi metri, per poi risalire con un’altra scarpinata! Il rifugio è nuovo ed accogliente (sostituisce quello distrutto da una valanga nel 2002) e noi ci sistemiamo subito nell’ampia camerata, per poi cercare sollievo nel sole del pomeriggio, dopo 6 ore di cammino.
Alla sera rientra pure un gruppo di giovani future guide alpine, impegnate nella scalata di alcune pareti limitrofe. Durante la cena, non posso fare a meno di uscire nel freddo per immortalare lo stupendo tramonto che incendia le cime che ci sovrastano, anche perché non ne posso più di sentire “esaltati” che non parlano d’altro che di… tiri (NDR: odio questa parola da quella sera!)
Anche stasera io e Daniele alle 20.30 siamo già nel nostro sacco lenzuolo e non tardiamo a prendere sonno. Ma… mi sia concessa qui una piccola polemica, che spero qualcuno raccolga… Gli “amici” aspiranti Guide Alpine arrivano nella camerata alle 22.30 e fino alle 23.45 non smettono di fare baccano, impedendo a tutti di dormire… in ogni rifugio si prega di fare assoluto silenzio dopo le 22.00… Questi ragazzotti spavaldi un domani diventeranno degli assi delle scalate, saliranno cime importanti ed impegnative…. Ma lo stare in montagna è una cosa che non si apprende con nessuno allenamento ne si studia su alcun libro di alpinismo! Il rispetto è una merce sempre più rara… meglio la competizione e la gloriola personale! BUONANOTTE!

Mercoledì 12 settembre
Alle 6 del mattino qualcuno già si muove fuori dai letti del rif. Bonacossa, alta Valle di Zocca, laterale della Val di Mello… è Daniele, che forse ha dormito un po’ più del sottoscritto… ma appena lo sento, scendo prontamente dal letto a castello, ed espletati i miei “doveri d’ufficio”, lo raggiungo subito in sala mensa, dove è già pronto il nostro the.
Cerchiamo subito di capire se il vento, che inesorabilmente ha soffiato tutto il giorno precedente, si è calmato, e con sollievo notiamo che fuori è una stupenda e per nulla ventosa giornata! Sistemiamo armi e bagagli ed alle 7 siamo già in cammino, mentre i nostri eroi della notte se la dormono ancora della grossa…
Le vette che poche ore prima ho immortalato incendiate dal tramonto, ora sono invece baciate dai primi raggi dell’alba, e sono sempre più affascinanti, anche per me che forse non avrò mai l’ardire di scalarle. Ci piace farci abbracciare da questa maestosità, e mentre ci perdiamo in questo tripudio di grandezza, finalmente anche due camosci appaiono poco distante e darci il loro buongiorno!
In breve siamo già al primo passo, che questa volta non dobbiamo scalare, bensì ridiscendere: siamo infatti nei pressi del Passo Torrione che ci immette nell’omonima valle. Qui possiamo anche apprezzare i lavori di sistemazione del sentiero ultimati il giorno prima da alcuni addetti, che hanno sostato con noi presso il rifugio. Ad aspettarci in fondo alla discesa, che ci abbassa di 200 mt buoni, un gruppo di pecore. Sappiamo che adesso ci aspetta la salita più dura dell’intero percorso, dobbiamo infatti risalire dagli attuali 2.300 mt fino ai 2.950 mt del Passo Cameraccio, il punto più alto di tutto il sentiero Roma… ma con una giornata così, nulla spaventa, anzi, l’aria frizzante ci fa sentire al pieno delle forze! Ed allora su a raggiungere prima il Bivacco Manzi, puntino rosso che già vediamo in alto a destra, e poi… per un attimo però tutto l’entusiasmo e la gioia ci si spengono dentro… eccola lì la lapide che ricorda la nostra conterranea, di Almenno, morta nel 2002 durante lo svolgimento del prestigioso trofeo Kima, gara internazionale di skyrunning… Lo sapevamo, ce ne ricordavamo, ma non pensavamo di trovarla così, in un punto dove sembra meno facile cadere. Dopo un pensiero ed una preghiera, continuiamo la salita in silenzio per alcuni attimi.
A farci tornare la parola è di nuovo lo stupore per quello che nel frattempo il sole sta cominciando ad illuminare: sopra le nostre teste l’impressionante parete del picco Luigi Amedeo, a destra ecco il pizzo Torrone occidentale e più a destra ancora si distingue la punta Ferrario che ruba la scena al pizzo Torrone centrale. La testata della valle è chiusa dal pizzo Torrone orientale, alla cui sinistra colpisce il caratteristico obelisco detto Ago del Torrone o Ago di Cleopatra.
Raggiunto il bivacco, riecco le nostre amiche pecore, tra cui notiamo anche quelle nere, che vengono subito a vedere se c’è qualcosa da scroccare! Lampo di genio: Daniele il giorno prima ha buttato una parte del pane, mentre io me ne sono tenuto la porzione più immangiabile nello zaino… scavando tra il carico, riesco e trovarla e subito la lancio alle lanose amiche, che si ammassano felici come scolarette e divorano il resto. Non lasciamo loro il tempo di chiedere un bis, perché siamo già alcuni metri sopra a scrutare un nuovo terreno. Sotto gli sfasciumi sui quali stiamo camminando da un momento, si svela il ghiaccio in un crepaccio che sembra una bocca dalle labbra azzurre. Siamo in breve a ridosso delle catene fisse che ci permetteranno di entrare nella nuova valle, e con tenacia, ma circospezione visto il terreno poco stabile, ci inerpichiamo anche per farci riscaldare dal sole che ci accoglierà un po’ stanchi sulla nostra vetta. ‘WOW’… ne io ne Daniele ci sappiamo astenere da questa espressione di meraviglia che ci conquista alla vista dello spettacolo che si gode da quassù! Subito lì davanti c’è la nord-ovest del Disgrazia, con la seraccata del suo ghiacciaio che si protende a valle. Tornando invece indietro, lo sguardo abbraccia più o meno tutto il tracciato del nostro trekking e le cime che lo hanno dominato. Dobbiamo telefonare alle rispettive donne per condividere questo stupendo momento, mentre consumiamo uno spuntino e ci facciamo riscaldare dallo sfavillante sole del mattino. Un po’ di riposo, e cominciamo a discendere sul massacrante terreno morenico nella sterminata Val Cameraccio, alla base della quale vediamo gli abitati della Val di Mello. Raggiungere il bivacco Kima, recente costruzione sul sentiero Roma, è cosa ben più ardua del previsto, vuoi che ci ostiniamo ad avanzare con i pantaloni invernali indossati, ma soprattutto per i continui balzi che spolpano le nostre povere ginocchia!
Quando finalmente ci sediamo all’ombra del bel bivacco, manca poco a mezzogiorno, e si decide perciò, dopo aver indossato i pantaloncini, di consumare il pranzo al sacco (NDR: un poco meglio di quello del giorno precedente….!). Ma perché ogni tanto i sentieri sono così… controcorrente? Dobbiamo ancora scendere per poi risalire, ed ora la fatica si fa davvero sentire. La nostra guida su carta stampata ci assicura che ormai le fatiche sono alla fine ed il prossimo ed ultimo passo, la Bocchetta Roma, non riserverà particolari sorprese… P…E!!! Non è mica poi tanto semplice tirarsi su di peso sulle catene che caratterizzano l’ascesa ad un altro valico a quasi 2.900 mt di quota! Gli ultimi metri li faccio quasi in apnea davanti a Daniele, che mi raggiunge e per poco non mi insulta per l’impressionante quantità di foto che ancora immagazzino, nonostante la stanchezza ed il caldo! Ma come fai a non fotografare? Adesso il Disgrazia finalmente ce l’abbiamo li sopra ad un tiro di schioppo, nel suo meraviglioso color ruggine, ricopiato un po’ più a sud dai due Corni Bruciati, anch’essi ora vicinissimi! Abbiamo il tempo per immortalare pure la nostra gioia in un bel autoscattopossiamo dire che ce l’abbiamo davvero fatta! Manca ancora una discesa, ma già pensiamo alla fortuna che abbiamo avuto, al bel tempo, ai posti stupendi visti… Sulle ali dell’entusiasmo scendiamo su terreno ancora non rilassante al sottostante rif. Ponti, dove ordiniamo quanto ci possono offrire, ovvero una fettona di torta a testa ed una bella birra fresca, non c’è brindisi migliore! Sono le 14.00, abbiamo camminato già per le 7 ore previste dai cartelli, e adesso dobbiamo scendere, ma non ci pesa, anche perché nuovi e fantastici panorami si aprono al nostro orizzonte. La Valle di Preda Rossa, a picco sotto di noi, ci stupisce per quella piana solcata da un torrente che gioca in ripetute curve nel suo color grigio-verde. Scendiamo scendiamo ed anche Daniele ora si scatena nelle fotografie, perché quella che vediamo è senza dubbio una delle più belle valli alpine mai viste da entrambi. Quando siamo sulla piana a 1.900 mt, possiamo abbracciare tutto il quadro, dalla piana stessa alla pineta sovrastante, per poi salire ai ghiacci ed ai massi rossastri di quel monte dal nome tanto inquietante, quanto affascinante! Non vorremmo più proseguire, tanto siamo rapiti da cotanto spettacolo, ma ora sotto i nostri piedi, ai quali abbiamo calzato per riposare un po’ le nostre scarpette basse da trekking, adesso comincia purtroppo l’asfalto. "Quanto mancherà per arrivare alla mia 206?" chiedo a Daniele… "molto!... volete un passaggio?" a rispondermi non è il mio socio, ma un signore con due ospiti a bordo del suo fuoristrada. "Perché no?!" rispondiamo in coro, e ci sistemiamo sul mezzo che scopriamo appartenere ad un’altra guida alpina, che sta scendendo da una salita in giornata al Disgrazia con alcuni amici. Siamo davvero fortunati, ed il nostro benefattore ce lo conferma: la discesa al punto dove ho lasciato la macchina è un interminabile strada un po’ asfaltata un po’ dissestata che ci avrebbe rubato altre due ore buone di cammino. Quando scendiamo, non possiamo che ringraziare più volte il nostro “tassista”… le Guide Alpine hanno riguadagnato il mio rispetto grazie a lui! (scherzo, mai perso!)
Ora non ci resta che recuperare la macchina di Daniele a Bagni Masino, non prima che lui abbia acquistato un po’ di prodotti tipici da portare alla famiglia. Io mi ‘accontento’ delle oltre 260 foto scattate e di 2 sassi raccolti alla Gianetti il primo giorno.
Il viaggio di rientro è un po’ malinconico, ma giunti al Passo S. Marco, verso le 17.30 del pomeriggio, mi fermo ed osservo da lontano quel paradiso, nel quale per tre giorni mi sono perso con il mio inseparabile amico e che da ora e per sempre sarà nel mio cuore e sulla retina, ogni volta che sognante chiuderò gli occhi pensando a Lei… la MONTAGNA!

(Mi scuso per la lungaggine, ma non potevo non descrivere queste emozioni… grazie per la sopportazione e… non perdete occasione per vivere la stupenda esperienza che anch’io ho vissuto! Buon trekking a tutti!)