giovedì 20 settembre 2007

Sentiero ROMA... un sogno realizzato!

Trekking sul granito della Val Masino
(il più bello dei miei ultimi 10 anni!)

Lunedì 10 settembre
Ore 4.00… dal mio lettino, dove non riesco a chiudere occhio, mica ti vedo un lampo?! …subito seguito da alcuni tuoni in lontananza… "ma dai, con tutte le previsioni meteo che mi son visto, mai una che c’azzecca!"
Ore 5.40: mi alzo un po’ dubbioso, guardo il cielo… tutte nuvole… "Vabbé, ormai siamo in ballo, balliamo!" Zaino già pronto, carico tutto in macchina ed alle 6.30 raggiungo Daniele a S.Giovanni Bianco, che i tuoni non li ha nemmeno sentiti… ed il cielo va rasserenandosi… Via, si parte verso un’avventura tanto pensata e desiderata!
Dopo non poca strada, salite e discese ed ancora salite, eccoci poco sopra Filolera Val Masino, dove lascio la mia 206, poi salto sulla Meriva di Daniele fino alle terme di Bagni Masino.
Questo posto l’ho già visto un anno esatto fa con Elena, Bruno ed Andrea, questa volta l’itinerario è però un po’ diverso: non saliamo direttamente al rif. Gianetti, nostra prima meta, ma ci facciamo un bel giro in Val dell’Oro, che già vediamo illuminata dal sole a nord ovest e dove spicca la sagoma della Sfinge, passando dal rif. Omio, scavalcando poi il Passo del Barbacan sud-est per entrare nella magnifica Val Porcellizzo, sotto montagne quali Badile e Cengalo… Questa variante è indicata anche nella guida che nei giorni precedenti abbiamo studiato, la quale permette di evitare la partenza dalla Val Codera (rif. Brasca) e non lasciare così le nostre macchine in punti troppo distanti l’una dall’altra… ma andiamo con ordine!
Già dai primi passi capiamo che siamo in un vero paradiso di escursionisti ed alpinisti: nell’abetaia che risaliamo tra stretti tornanti, festosi scoiattoli si rincorrono sui rami e dopo solo mezz’oretta, ecco aprirsi già il sipario su quelle vette tanto famose… Badile e Cengalo, attorniati dalla Punta S. Anna e dal Pizzo Porcellizzo, si stagliano su un cielo turchese! Il sentiero piega però a sinistra e ci inerpichiamo sotto pareti che iniziamo ad apprezzare di puro granito (questo minerale ci farà compagnia per un bel po’…!)
Quando usciamo dallo stupendo bosco d’abeti, il sole è già alto e bello caldo, il rifugio Omio è ormai in vista, ma Daniele accusa i miei stessi problemi di digestione sperimentati ad inizio agosto sul Pegherolo… Raggiungere il primo rifugio diventa così già un’impresa, ma grazie ad un buon the caldo preparato dal solitario rifugista (NDR: mamma mia che solitudine deve vivere il gestore dell’Omio… non passa un’anima in questo periodo!) il malanno sembra superato.
Iniziamo così a salire sul serio, sotto un sole sempre più bruciante. Le catene fisse che agevolano la salita al Passo di Barbacan Sud-est sono facili, ma la pendenza non scherza, così tra un “tiro” e l’altro possiamo pure apprezzare l’ascensione alla Punta Milano, poco distante, di alcuni scalatori. Quando raggiungo il passo, è ormai la una del pomeriggio: estraggo avidamente dallo zaino pane e prosciutto acquistati a Morbegno, e dopo aver preparato il pranzo per me e Daniele, mentre lo aspetto, fotografo senza sosta da nord a sud, da est a ovest… Il Pizzo Ligoncio e la sagoma della Sfinge che sovrastano la Val dell’oro ad ovest, a nord est le rocce del Barbacan che come delle quinte di pietra svelano e nascondono quel monolite di granito del Badile, sotto il quale già si scorge la Gianetti.
Trangugiato il nostro pasto, ci abbassiamo sempre con l’aiuto provvidenziale delle catene fisse dal passo, e mettiamo così piede nella maestosa e meravigliosa Val Porcellizzo. Daniele fa scorta d’acqua, che non manca certo, mentre io continuo a “sparare” foto a raffica. In breve eccoci alla nostra prima tappa, a quota 2.534 mt: manca poco alle 15.00 ed alcuni muratori lavorano rumorosamente al nuovo ingresso del rifugio, rovinando un po’ la magica atmosfera del posto… ma non si può avere tutto, anzi, tanto di cappello a questi uomini che lavorano in un ambiente non proprio confortevole!
Preso “possesso” della camera nel rifugio, tra un bagno dell’ultimo sole e qualche balzo sugli enormi blocchi di granito sotto le vette, tiriamo l’ora di cena, servita dal rifugista “barba” (Andrea se lo ricorda di certo…!) verso le 19.00.
La stanchezza non è poca, ed infatti dopo cena Daniele è già raggomitolato nelle coperte. Io lo imito poco dopo, non prima di aver immortalato le tenebre che scendono sulle cime e la valle, assieme a qualche nuvola proveniente dal versante svizzero.

Martedì 10 settembre
… il termometro segna – 1°… il barometro una pressione in discesa… dalla Svizzera giungono nuvole minacciose… “STAI SERENO!!!”
Ti pareva che il mio socio non me la menava ancora con il suo solito motto!?!
Scendiamo in sala da pranzo e consumiamo una leggera colazione a base di the e fette di pane e marmellata. La sorpresa non molto gradita è il conto… non tanto la mezza pensione, quanto i panini per il giorno… 5 € l’uno??? Per poi scoprire che il pane è pure raffermo… vabbé!
Usciamo dal rifugio, verso le 8, in un aria surreale: il cielo è tagliato di netto in due parti. Da nord le nubi avanzano veloci, ma si infrangono contro un vento proveniente da sud che spazza il cielo meridionale. A differenza del giorno prima, quando le nostre Orobie apparivano immerse nelle nubi, oggi sono completamente sgombre. Seguiamo lentamente il sentiero che, quasi sempre pianeggiante, si avvicina a quello che viene indicato come il punto più difficile dell’intero Sentiero Roma: il Passo di Camerozzo. In effetti, quando ci si avvicina, quella forma ad uncino delle rocce incute un poco di timore… aggiungi poi che a noi ci si presenta nel bel mezzo di una nevicata! Le nuvole, infatti, portano con se del nevischio raccolto molto probabilmente dai versanti settentrionali. Superato il caratteristico bivio per il passo di Bondo (caratteristico perché si trova nei pressi di un grande masso tagliato in due in modo tanto perfetto da sembrare innaturale), il sentiero comincia a salire verso il Camerozzo, dapprima su terreno ghiaioso, poi su bei gradoni di… guarda un po’! granito, per poi lasciar spazio alle catene fisse, rese gelate da una notte di vento. Raggiungere il valico richiede un po’ di sforzo, ma anche soddisfazione. La vista sulla valle del Ferro che si apre è davvero suggestiva, mentre la sagoma del lato ovest del Disgrazia là in fondo rende ancor più selvaggio il panorama. L’occhio corre però immediatamente a verificare la difficoltà della discesa, che all’inizio non sembrerebbe poi tanto accentuata. Visto che il nevischio non accenna a diminuire, senza molti indugi ci caliamo abbastanza rapidamente, ma con molta attenzione, sulle catene ad est del passo.
Dopo i primi passaggi più facili su roccia sana, ecco una diagonale abbastanza impegnativa, superata però senza particolari problemi; segue poi un lungo e più tranquillo perdere di quota su un misto di roccette e magri pascoli impervi, dove però non penso animali domestici abbiamo mai messo… “zampa”. Intanto il sole a fatica cerca di vincere la sua battaglia con le nuvole, regalando qualche attimo di calore in un clima ancora freddino.
Quando, scendendo a marcia indietro, iniziamo ad intravedere la base del passo alla nostra destra, e sembra di esser quasi alla fine della fatica, ecco il tratto più impegnativo: una stretta cengia la quale, in alcuni punti, si riduce ad un intaglio nella parete di granito che precipita a valle. Senza quasi rendermene conto, mi ritrovo con il mio zainone che dondola sopra 150 mt ca. di salto nel vuoto, mentre Daniele, che mi precede nella discesa, un po’ divertito, trova pure il modo di immortalarmi nella mia “perfetta” tecnica di discesa! Paura no, ma dopo più di 20 minuti attaccati ad una catena, le braccia sono un attimo indolenzite, e questo accentua la tensione. Poi finalmente si ricomincia a camminare “da cristiani”: riguardare da dove si è scesi genera un poco di impressione, ma anche di orgoglio… siamo davvero ‘EE’ (Escursionisti Esperti!).
Superiamo a balzi ora decisi, ora un po’ più stanchi, l’ampia Valle del Ferro, caratterizzata da sempre più grossi massi, in direzione del prossimo ostacolo: il Passo Qualido. Lasciato alla nostra destra il Bivacco Molteni-Valsecchi, finalmente il nostro trekking viene confortato dal sole e dal cielo sereno, che hanno orgogliosamente vinto la guerra alle nubi svizzere, sparite dietro i tre Pizzi del Ferro, signori della valle. La salita al nuovo passo è molto più tranquilla della precedente, e lo sarà pure la discesa nella prossima valle, la Val Qualido. Sullo spartiacque ecco apparire tante nuove ed importanti cime: la cima di Zocca, poi la cima di Castello ed i tre pizzi Torrone. Caratteristica è la placca liscia nella costiera orientale, una specie di curva parabolica che declina a valle. Scendiamo sempre con l’aiuto di catene fisse, che come direbbe Daniele, qui sono però più “allegoriche” e “folkloristiche” rispetto a quanto appena affrontato sul Camerozzo.
Quello che notiamo già dal giorno prima è la scarsità di animali selvatici sul percorso (solo qualche marmotta più timida delle nostre bergamasche), così come di turisti; nel senso inverso di percorrenza non incontreremo mai nessuno nei tre giorni, nel nostro senso, invece, sono in marcia quattro tedeschi che mantengono sempre 3 o 4 ore di svantaggio rispetto a noi. Strano davvero, perché gli ambienti son talmente stupendi, sia per i primi che per i secondi!
Nel frattempo è già ora di pranzo. Estraiamo con “devozione” i nostri preziosi panini (un metà finirà scagliata a valle da Daniele, impossibilitato a mangiare tale delizia…!): non possiamo però goderci molto la pausa, in quanto il vento che abbiamo prima ringraziato per aver spazzato il cielo, si è fatto sempre più vigoroso e freddo. Via allora verso l’ultimo valico del giorno: il Passo dell’Averta. Siamo un po’ stanchi, ma scavalchiamo con tenacia le ultime catene, e sopra di noi ecco svettare imponente il duomo di pietra della Cima di Zocca! A destra sfilano la punta Allievi, la cima di Castello, la punta Rasica e più in là, l’uno alle spalle dell’altro, i pizzi Torrone occidentale, centrale ed orientale. La vista di tutti questi 3000 ci fa sentire come piccoli ed insignificanti puntini. Un puntino che ora attira la nostra vista è invece quello del rifugio Allievi-Bonacossa, nostra meta giornaliera. Quando ci sembra di essere alla stessa altezza dello stesso, ecco una sorpresa: uno sperone roccioso un po' esposto su entrambi i lati, superabile con l’aiuto di corde fisse, che ci fa scendere di non pochi metri, per poi risalire con un’altra scarpinata! Il rifugio è nuovo ed accogliente (sostituisce quello distrutto da una valanga nel 2002) e noi ci sistemiamo subito nell’ampia camerata, per poi cercare sollievo nel sole del pomeriggio, dopo 6 ore di cammino.
Alla sera rientra pure un gruppo di giovani future guide alpine, impegnate nella scalata di alcune pareti limitrofe. Durante la cena, non posso fare a meno di uscire nel freddo per immortalare lo stupendo tramonto che incendia le cime che ci sovrastano, anche perché non ne posso più di sentire “esaltati” che non parlano d’altro che di… tiri (NDR: odio questa parola da quella sera!)
Anche stasera io e Daniele alle 20.30 siamo già nel nostro sacco lenzuolo e non tardiamo a prendere sonno. Ma… mi sia concessa qui una piccola polemica, che spero qualcuno raccolga… Gli “amici” aspiranti Guide Alpine arrivano nella camerata alle 22.30 e fino alle 23.45 non smettono di fare baccano, impedendo a tutti di dormire… in ogni rifugio si prega di fare assoluto silenzio dopo le 22.00… Questi ragazzotti spavaldi un domani diventeranno degli assi delle scalate, saliranno cime importanti ed impegnative…. Ma lo stare in montagna è una cosa che non si apprende con nessuno allenamento ne si studia su alcun libro di alpinismo! Il rispetto è una merce sempre più rara… meglio la competizione e la gloriola personale! BUONANOTTE!

Mercoledì 12 settembre
Alle 6 del mattino qualcuno già si muove fuori dai letti del rif. Bonacossa, alta Valle di Zocca, laterale della Val di Mello… è Daniele, che forse ha dormito un po’ più del sottoscritto… ma appena lo sento, scendo prontamente dal letto a castello, ed espletati i miei “doveri d’ufficio”, lo raggiungo subito in sala mensa, dove è già pronto il nostro the.
Cerchiamo subito di capire se il vento, che inesorabilmente ha soffiato tutto il giorno precedente, si è calmato, e con sollievo notiamo che fuori è una stupenda e per nulla ventosa giornata! Sistemiamo armi e bagagli ed alle 7 siamo già in cammino, mentre i nostri eroi della notte se la dormono ancora della grossa…
Le vette che poche ore prima ho immortalato incendiate dal tramonto, ora sono invece baciate dai primi raggi dell’alba, e sono sempre più affascinanti, anche per me che forse non avrò mai l’ardire di scalarle. Ci piace farci abbracciare da questa maestosità, e mentre ci perdiamo in questo tripudio di grandezza, finalmente anche due camosci appaiono poco distante e darci il loro buongiorno!
In breve siamo già al primo passo, che questa volta non dobbiamo scalare, bensì ridiscendere: siamo infatti nei pressi del Passo Torrione che ci immette nell’omonima valle. Qui possiamo anche apprezzare i lavori di sistemazione del sentiero ultimati il giorno prima da alcuni addetti, che hanno sostato con noi presso il rifugio. Ad aspettarci in fondo alla discesa, che ci abbassa di 200 mt buoni, un gruppo di pecore. Sappiamo che adesso ci aspetta la salita più dura dell’intero percorso, dobbiamo infatti risalire dagli attuali 2.300 mt fino ai 2.950 mt del Passo Cameraccio, il punto più alto di tutto il sentiero Roma… ma con una giornata così, nulla spaventa, anzi, l’aria frizzante ci fa sentire al pieno delle forze! Ed allora su a raggiungere prima il Bivacco Manzi, puntino rosso che già vediamo in alto a destra, e poi… per un attimo però tutto l’entusiasmo e la gioia ci si spengono dentro… eccola lì la lapide che ricorda la nostra conterranea, di Almenno, morta nel 2002 durante lo svolgimento del prestigioso trofeo Kima, gara internazionale di skyrunning… Lo sapevamo, ce ne ricordavamo, ma non pensavamo di trovarla così, in un punto dove sembra meno facile cadere. Dopo un pensiero ed una preghiera, continuiamo la salita in silenzio per alcuni attimi.
A farci tornare la parola è di nuovo lo stupore per quello che nel frattempo il sole sta cominciando ad illuminare: sopra le nostre teste l’impressionante parete del picco Luigi Amedeo, a destra ecco il pizzo Torrone occidentale e più a destra ancora si distingue la punta Ferrario che ruba la scena al pizzo Torrone centrale. La testata della valle è chiusa dal pizzo Torrone orientale, alla cui sinistra colpisce il caratteristico obelisco detto Ago del Torrone o Ago di Cleopatra.
Raggiunto il bivacco, riecco le nostre amiche pecore, tra cui notiamo anche quelle nere, che vengono subito a vedere se c’è qualcosa da scroccare! Lampo di genio: Daniele il giorno prima ha buttato una parte del pane, mentre io me ne sono tenuto la porzione più immangiabile nello zaino… scavando tra il carico, riesco e trovarla e subito la lancio alle lanose amiche, che si ammassano felici come scolarette e divorano il resto. Non lasciamo loro il tempo di chiedere un bis, perché siamo già alcuni metri sopra a scrutare un nuovo terreno. Sotto gli sfasciumi sui quali stiamo camminando da un momento, si svela il ghiaccio in un crepaccio che sembra una bocca dalle labbra azzurre. Siamo in breve a ridosso delle catene fisse che ci permetteranno di entrare nella nuova valle, e con tenacia, ma circospezione visto il terreno poco stabile, ci inerpichiamo anche per farci riscaldare dal sole che ci accoglierà un po’ stanchi sulla nostra vetta. ‘WOW’… ne io ne Daniele ci sappiamo astenere da questa espressione di meraviglia che ci conquista alla vista dello spettacolo che si gode da quassù! Subito lì davanti c’è la nord-ovest del Disgrazia, con la seraccata del suo ghiacciaio che si protende a valle. Tornando invece indietro, lo sguardo abbraccia più o meno tutto il tracciato del nostro trekking e le cime che lo hanno dominato. Dobbiamo telefonare alle rispettive donne per condividere questo stupendo momento, mentre consumiamo uno spuntino e ci facciamo riscaldare dallo sfavillante sole del mattino. Un po’ di riposo, e cominciamo a discendere sul massacrante terreno morenico nella sterminata Val Cameraccio, alla base della quale vediamo gli abitati della Val di Mello. Raggiungere il bivacco Kima, recente costruzione sul sentiero Roma, è cosa ben più ardua del previsto, vuoi che ci ostiniamo ad avanzare con i pantaloni invernali indossati, ma soprattutto per i continui balzi che spolpano le nostre povere ginocchia!
Quando finalmente ci sediamo all’ombra del bel bivacco, manca poco a mezzogiorno, e si decide perciò, dopo aver indossato i pantaloncini, di consumare il pranzo al sacco (NDR: un poco meglio di quello del giorno precedente….!). Ma perché ogni tanto i sentieri sono così… controcorrente? Dobbiamo ancora scendere per poi risalire, ed ora la fatica si fa davvero sentire. La nostra guida su carta stampata ci assicura che ormai le fatiche sono alla fine ed il prossimo ed ultimo passo, la Bocchetta Roma, non riserverà particolari sorprese… P…E!!! Non è mica poi tanto semplice tirarsi su di peso sulle catene che caratterizzano l’ascesa ad un altro valico a quasi 2.900 mt di quota! Gli ultimi metri li faccio quasi in apnea davanti a Daniele, che mi raggiunge e per poco non mi insulta per l’impressionante quantità di foto che ancora immagazzino, nonostante la stanchezza ed il caldo! Ma come fai a non fotografare? Adesso il Disgrazia finalmente ce l’abbiamo li sopra ad un tiro di schioppo, nel suo meraviglioso color ruggine, ricopiato un po’ più a sud dai due Corni Bruciati, anch’essi ora vicinissimi! Abbiamo il tempo per immortalare pure la nostra gioia in un bel autoscattopossiamo dire che ce l’abbiamo davvero fatta! Manca ancora una discesa, ma già pensiamo alla fortuna che abbiamo avuto, al bel tempo, ai posti stupendi visti… Sulle ali dell’entusiasmo scendiamo su terreno ancora non rilassante al sottostante rif. Ponti, dove ordiniamo quanto ci possono offrire, ovvero una fettona di torta a testa ed una bella birra fresca, non c’è brindisi migliore! Sono le 14.00, abbiamo camminato già per le 7 ore previste dai cartelli, e adesso dobbiamo scendere, ma non ci pesa, anche perché nuovi e fantastici panorami si aprono al nostro orizzonte. La Valle di Preda Rossa, a picco sotto di noi, ci stupisce per quella piana solcata da un torrente che gioca in ripetute curve nel suo color grigio-verde. Scendiamo scendiamo ed anche Daniele ora si scatena nelle fotografie, perché quella che vediamo è senza dubbio una delle più belle valli alpine mai viste da entrambi. Quando siamo sulla piana a 1.900 mt, possiamo abbracciare tutto il quadro, dalla piana stessa alla pineta sovrastante, per poi salire ai ghiacci ed ai massi rossastri di quel monte dal nome tanto inquietante, quanto affascinante! Non vorremmo più proseguire, tanto siamo rapiti da cotanto spettacolo, ma ora sotto i nostri piedi, ai quali abbiamo calzato per riposare un po’ le nostre scarpette basse da trekking, adesso comincia purtroppo l’asfalto. "Quanto mancherà per arrivare alla mia 206?" chiedo a Daniele… "molto!... volete un passaggio?" a rispondermi non è il mio socio, ma un signore con due ospiti a bordo del suo fuoristrada. "Perché no?!" rispondiamo in coro, e ci sistemiamo sul mezzo che scopriamo appartenere ad un’altra guida alpina, che sta scendendo da una salita in giornata al Disgrazia con alcuni amici. Siamo davvero fortunati, ed il nostro benefattore ce lo conferma: la discesa al punto dove ho lasciato la macchina è un interminabile strada un po’ asfaltata un po’ dissestata che ci avrebbe rubato altre due ore buone di cammino. Quando scendiamo, non possiamo che ringraziare più volte il nostro “tassista”… le Guide Alpine hanno riguadagnato il mio rispetto grazie a lui! (scherzo, mai perso!)
Ora non ci resta che recuperare la macchina di Daniele a Bagni Masino, non prima che lui abbia acquistato un po’ di prodotti tipici da portare alla famiglia. Io mi ‘accontento’ delle oltre 260 foto scattate e di 2 sassi raccolti alla Gianetti il primo giorno.
Il viaggio di rientro è un po’ malinconico, ma giunti al Passo S. Marco, verso le 17.30 del pomeriggio, mi fermo ed osservo da lontano quel paradiso, nel quale per tre giorni mi sono perso con il mio inseparabile amico e che da ora e per sempre sarà nel mio cuore e sulla retina, ogni volta che sognante chiuderò gli occhi pensando a Lei… la MONTAGNA!

(Mi scuso per la lungaggine, ma non potevo non descrivere queste emozioni… grazie per la sopportazione e… non perdete occasione per vivere la stupenda esperienza che anch’io ho vissuto! Buon trekking a tutti!)

3 commenti:

Brünig ha detto...

Grandissimi! STANDING OVATION e 42 minuti di applausi!!!!

Stracomplimenti a voi per il meraviglioso giro, sono contento per il tuo sogno realizzato...
il poco che conosco di quei luoghi è entrato nel cuore anche a me, si respira davvero un non so che di speciale, lassù...

Roger ha detto...

Grazie Bru... il merito della buona riuscita di queste cose è sempre Suo! Che ci regala La Montagna, L'Amicizia, il Sole... TUTTO!
Spero che ci sarà occasione di ripetere in toto o anche solo in parte quest'escursione in compax!

andrea ha detto...

ho finito solo ora di leggere...
BELLISSIMO!!!
GRANDISSIMI!!!
ricordo bene il GIANETTI...
uno di più bei posti dove sia stato proprio con voi (una gita meravigliosa!!!)... ed ora ho proprio voglia di fare tutto il giro...
un abbraccio GRANDE...
e a presto!!!